Come un antropologo sul campo il fotografo Filippo Venturi con il libro Made in Korea (Emuse editore) fa il resoconto visivo di quello che è stato il suo lungo viaggio intrapreso meno di un anno fa nella Corea del Sud, partendo dalla capitale Seoul per poi scendere fino a Busan.
Un libro che mette in luce le contraddizioni interne di un paese che fino a cinquanta anni fa è stato afflitto da carestie e «oppresso da dominazioni straniere e dittatori», ma che oggi è diventato uno dei paesi economicamente più avanzati al mondo grazie al considerevole sviluppo tecnologico.
Contraddizioni che riemergono con forza negli scatti di Filippo Venturi in cui una ragazza osserva con attenzione un cartellone pubblicitario di una clinica di bellezza, dei ragazzi ben vestiti dormono con la testa appoggiata su dei tavoli di un pub, mentre un gruppo di persone, senza mai distogliere lo sguardo dal proprio smartphone, siede in un centro commerciale di fronte alla riproduzione della fontana di Trevi.

 

 

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Il libro di Venturi è uno spaccato su un mondo in perenne evoluzione, in bilico tra natura e artificio, alla ricerca di un sogno che spesso assume i connotati di un vero e proprio incubo, dove lo stereotipo dilaga e la ricerca del nuovo e del bello diventa canone da dover rispettare rigorosamente per poter far parte a tutti gli effetti del sistema sociale, in cui i primi a farne le spese sono proprio i coreani.

 
In poco tempo la Corea è diventato un paese all’avanguardia in campo tecnologico se si pensa alle grandi multinazionali come Hyundai, LG e la Samsung, “il più importante gruppo industriale del paese e un colosso che da solo genera un quinto del PIL coreano“, i ritmi di crescita economici sono forsennati e altrettanto quelli dei suoi abitanti che vengono spronati a studiare a ritmi serrati fin da piccoli perché “una persona senza istruzione è come una bestia che indossa abiti”. L’incremento delle ore di studio è proporzionale alla crescita dei ragazzi e un popolare detto, riferito specialmente agli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, afferma “se dormi tre ore al giorno potrai riuscire a entrare in una delle SKY [Seoul National University, Korea University e Yonsei University], se dormi quattro ore al giorno potrai riuscire ad entrare in un’università, se dormi cinque ore al giorno scordati l’università”.
All’eccellenza intellettuale si lega la cura per il corpo, ed ecco che la città mette a disposizione dei suoi abitanti attrezzature sportive negli spazi pubblici e se questo non dovesse bastare per rientrare nei giusti canoni, che spesso si richiamano a quelli occidentali, ci pensa la chirurgia estetica, quasi un’ossessione per i coreani, tanto che piccoli interventi chirurgici vengono regalati dai genitori per la promozione all’università dei propri figli.
Made in Korea è un’indagine realizzata con attenzione e analisi critica dal fotografo Filippo Venturi, e in quanto tale apre un ampio ventaglio di interrogativi riguardo agli effetti che questa “rincorsa alla modernità, al progresso tecnologico e industriale, mediante una smisurata competizione, nella ricerca della perfezione estetica, scolastica” e professionale ha portato con sé, tra questi la dipendenza da internet e dalla tecnologia, tanto che il parlamento ha varato una legge per impedire agli “adolescenti al di sotto dei 16 anni di giocare ai videogame online da mezzanotte alle sei del mattino”, a cui si aggiunge la dipendenza da alcol e un elevato tasso di suicidi, che coinvolge specialmente gli studenti.

 

 

 

 

made in korea

 

 

 

 

Quello di Filippo Venturi è un racconto fatto di immagini vivide e dirette, che mette in luce usi e costumi di un paese alla ricerca di sé stesso, perché come afferma Confucio “solo i più saggi o i più stupidi degli uomini non cambiano mai“, ma sta agli uomini stessi decidere quale strada e indirizzo dare ai propri cambiamenti, ben vengano i primati ma se questi non sono ottenuti a costo della perdita dell’identità e della propria natura, poiché “la nostra gloria più grande non sta nel non cadere mai, bensì nel rialzarci ogni volta che cadiamo”.

Il libro Made in Korea, è edito da emuse, e all’interno sono contenuti due interessanti saggi critici scritti da Silvia Camporesi e Davide Grossi.

 

 

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Claudia Stritof
Claudia Stritof (1988, Locri; vive e lavora a Bologna, Italia) ha frequentato il liceo artistico sezione scultura e decorazione plastica e si è laureata in Storia e Tutela dei Beni Artistici dell’Università degli Studi di Firenze (2012) per poi conseguire la laurea magistrale in Arti Visive presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, specializzazione in Teoria e Pratiche della Fotografia. E’ interessata al giornalismo artistico, alla curatela e in particolare il campo fotografico e ciò che più l’appassiona. Scrive per passione e cerca di farlo per professione, ha all’attivo pubblicazioni per cataloghi di mostre e articoli per riviste online.