MILANO. L’iconografia e la rappresentazione della maternità nell’arte del Novecento, dalle avanguardie sino ai nostri giorni è il filo conduttore de La Grande Madre, la grande esposizione a Palazzo Reale che, attraverso oltre 400 opere di 139 artiste e un allestimento di 2.000 metri quadrati articolato in 29 sale al primo piano di Palazzo Reale, affronta il tema del potere della donna, negato e conquistato nel corso del Novecento.

Partendo dalla rappresentazione della maternità, l’esposizione si amplia per passare in rassegna un secolo di scontri e lotte tra emancipazione e tradizione, raccontando le trasformazioni della sessualità, dei generi e della percezione del corpo e dei suoi desideri e ricostruisce una narrazione trasversale del XX secolo, esplorando i miti e i cliché del femminile, e dando vita a una complessa riflessione sulla figura della donna come soggetto e – non più solo – come oggetto della rappresentazione.

 

 

Rachel Harrison. Untitled (Perth Amboy), 2001 C-­‐print, 50.5 x 39.1 cm. Courtesy Rachel Harrison e Greene Naftali, New York Untitled (Perth Amboy), 2001 C-­‐print, 50.5 x 39.1 cm Courtesy Rachel Harrison and Greene Naftali, New York
Rachel Harrison. Untitled
(Perth Amboy), 2001 C-­‐print, 50.5 x 39.1 cm. Courtesy Rachel Harrison
e Greene Naftali, New
York Untitled (Perth Amboy), 2001 C-­‐print, 50.5
x 39.1 cm Courtesy Rachel Harrison and Greene Naftali, New York

 

 

Un’esposizione che unisce scritti, pitture, installazioni a fotografie come quelle di Gertrude Käsebier e racconta l’excursus femminile dai primi rapporti familiari e le relazioni tra madri e figli al passando agli anni Dieci e Venti, sia in Europa sia in America. Passando dalle macchine celibi di Marcel Duchamp, Picabia e Man Ray, alle bambole meccaniche di Sophie Taeuber-Arp, Emmy Hennings e Hannah Höch, fino alle performance irriverenti della Baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, la mostra descrive le relazioni pericolose che all’inizio del Novecento si intrecciarono tra biologia, meccanica e desiderio.

Il culto della donna nel Surrealismo è analizzato con la presentazione di cinquanta collage originali da La donna 100 teste di Max Ernst, esposti accanto a opere e documenti di André Breton, Hans Bellmer, Salvador Dalí. Esplorando le implicazioni estetiche ed etiche della fascinazione surrealista nei confronti del femminile, la mostra porta in primo piano le opere di artiste che abbracciarono e al contempo rifiutarono la retorica del Surrealismo, all’interno del quale trovarono strumenti per l’emancipazione femminile, ma anche opprimenti stereotipi sessuali. Questa sezione include capolavori e opere celebri di Leonora Carrington, Frida Kahlo, Dora Maar, Lee Miller, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning, Remedios Varo, Unica Zürn e altre artiste dell’epoca, la cui fama è stata a lungo oscurata da quella dei loro colleghi uomini.

 

 

Migrant Mother, 1936 Photographic print, exhibition copy, 30 x 18 cm. The Library of Congress, Washington DC
Migrant Mother, 1936 Photographic print,
exhibition copy, 30 x 18
cm. The Library of Congress, Washington DC

 

 

Queste opere sono intrecciate a una selezione di scene madri del cinema muto e a documenti sulla politica delle nascite nel fascismo, a loro volta affiancati a immagini di madri addolorate e orgogliose eroine del cinema neo-realista. In questo album di famiglia corale, l’immagine della madre si sovrappone spesso all’idea di nazione e stato, creando preoccupanti associazioni tra corpi e patria.

 

The Brown Sisters, 1974-­‐2014. 40 silver prints, 45.5 x 57.1 cm each © Nicholas Nixon. Courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco
The Brown Sisters, 1974-­‐2014. 40 silver prints, 45.5
x 57.1 cm each © Nicholas
Nixon. Courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco

 

 

La seconda parte della mostra ha come epicentro ideale una selezione di opere di Louise Bourgeois, che assimila l’influenza del Surrealismo e la trasforma mescolandola con riferimenti a culture arcaiche per creare una mitologia individuale di straordinaria forza simbolica.

Molte artiste che emergono negli anni Sessanta e Settanta – tra cui Magdalena Abakanowicz, Ida Applebroog, Lynda Benglis, Judy Chicago, Eva Hesse, Dorothy Iannone, Yayoi Kusama, Anna Maria Maiolino, Ana Mendieta, Marisa Merz, Annette Messager e altre – creano un nuovo vocabolario di forme in cui abbondano riferimenti biologici con i quali le artiste rivendicano la centralità del corpo femminile, spesso associandolo alle forze della natura e della terra.

Più o meno negli stessi anni – ai quali corrispondono le rivendicazioni dei movimenti femministi di cui verranno presentati vari documenti in mostra – artiste assai diverse tra loro come Carla Accardi, Joan Jonas, Mary Kelly, Yoko Ono, Martha Rosler, VALIE EXPORT e altre descrivono lo spazio domestico come un luogo di tensioni e soprusi, rimettendo in discussione la divisione del lavoro e dei ruoli sessuali negli ambienti della casa e della famiglia.

 

Julie, Den Hagg, The Netherlands. February 29, 1994, from the New Mothers cycle, 1994. C-­‐print, 117 x 94 cm. Courtesy Rineke Dijkstra amd Marian Goodman Gallery
Julie, Den Hagg, The
Netherlands. February 29, 1994, from the New Mothers cycle, 1994.
C-­‐print, 117 x 94 cm.
Courtesy Rineke Dijkstra
amd Marian Goodman Gallery

 

Gerarchie e rapporti di potere sono messi in crisi anche nelle opere di Sherrie Levine, Lee Lozano e Elaine Sturtevant che – in modi diversi – si oppongono alle tradizionali modalità di produzione e riproduzione. Attraverso copie e repliche o rifiutandosi del tutto di creare ex novo, queste artiste immaginano nuovi modelli di proprietà e nuove forme di possesso che si sottraggono all’autorità patriarcale. Attraverso l’accostamento di immagini trovate e collage, Barbara Kruger, Ketty La Rocca, Suzanne Santoro e altre intraprendono una guerriglia semiotica che critica gli slogan e i messaggi dei media e decostruisce l’immagine della donna e della madre creata dai mezzi di comunicazione di massa.

Le opere di artiste diverse come Katharina Fritsch, Cindy Sherman, Rosemarie Trockel – attive dagli anni Ottanta – si rimpossessano della storia dell’arte, mescolando generi e riferimenti iconografici al tema della maternità e della pittura e scultura religiose.

 

Self-­‐Portrait/Nursing, 2004 C-­‐print, 101.6 x 81.3 cm. Private collection. Courtesy Studio Guenzani, Milan
Self-­‐Portrait/Nursing,
2004 C-­‐print, 101.6 x 81.3 cm. Private collection. Courtesy Studio
Guenzani, Milan

 

 

Negli anni Novanta emergono varie artiste la cui opera è segnata da un’aggressiva semplicità. In una serie ormai leggendaria Rineke Dijkstra ritrae madri e figli a poche ore dal parto. Sarah Lucas compone sculture e bricolage dalle forme al contempo maschili e femminili. Catherine Opie documenta la vita e i desideri delle comunità gay e sadomaso di Los Angeles. Mentre pittrici assai diverse come Marlene Dumas e Nicole Eisenman rappresentano la maternità come croce e delizia, liberazione e condanna.

Pipilotti Rist mescola pittura barocca e videoclip in un’opera inedita che trasforma il soffitto di una sala di Palazzo Reale in un affresco elettronico, mentre Rachel Harrison documenta le apparizioni della Madonna in un sobborgo della provincia americana.

 

Miggi & Ilene, Los Angeles, California, 1995 C-­‐print, 103 x 128 cm. Courtesy Catherine Opie; Stephen Friedman Gallery, London; Regen Projects, Los Angeles
Miggi & Ilene, Los Angeles,
California, 1995 C-­‐print, 103 x 128 cm. Courtesy
Catherine Opie; Stephen
Friedman Gallery, London;
Regen Projects, Los Angeles

 

Dalle opere di Nathalie Djurberg, Robert Gober, Keith Edmier, Kiki Smith, Gillian Wearing e altri emerge una sensibilità post-umana in cui tecnologia e biologia aprono prospettive inedite attraverso le quali superare le vecchie distinzioni di genere. Arricchiscono il percorso molte installazioni importanti di Jeff Koons, Thomas Schütte, Nari Ward e opere di rilievo di Thomas Bayrle, Constantin Brancusi, Maurizio Cattelan, Lucio Fontana, Kara Walker. Nel suo celebre video Grosse Fatigue, vincitore del Leone d’Argento all’ultima Biennale di Venezia, Camille Henrot analizza i miti di creazione e la genesi dell’universo, raccontando così la nascita della Madre Terra.

 

20 photographs from the series A Child is Born, published in LIFE, New York, April 30, 1965. Exhibition prints, 29 x 27 cm each © Lennart Nilsson
20 photographs from the
series A Child is Born, published in LIFE, New York, April 30, 1965.
Exhibition prints, 29 x 27 cm each © Lennart Nilsson

 

Uno straordinario ciclo fotografico di Lennart Nilsson – il primo ad avere fotografato un feto in endoscopia in vivo – rappresenta la maternità in maniera iperrealista, trasformandola in uno spettacolo al limite della fantascienza.

Tra le opere più recenti anche la prima presentazione in Italia della celebre serie di ritratti delle Brown Sisters, realizzata da Nicholas Nixon scattando ogni anno per quarant’anni il ritratto di gruppo delle sorelle Brown.

 

 

The Brown Sisters, 1974-­‐2014. 40 silver prints, 45.5 x 57.1 cm each © Nicholas Nixon, Courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco
The Brown Sisters, 1974-­‐2014. 40 silver prints, 45.5 x
57.1 cm each © Nicholas
Nixon, Courtesy Fraenkel Gallery, San Francisco

 

Da queste e da molte altre opere in mostra, emerge un’immagine della madre come proiezione di desideri, ansie e aspirazioni individuali e collettive, maschili e femminili. Forse un’immagine meno rassicurante di quella consueta a cui ci hanno abituato la pubblicità e la retorica, ma decisamente più complessa e potente.

[quote_box_center]Completa il percorso espositivo, in anteprima italiana, la performance Teaching to walk di Roman Ondák dedicata a un istante imprevedibile: i primi passi di un bambino. Sino al 15 novembre, ogni giorno una mamma e suo figlio saranno invitati a imparare a camminare nelle sale della mostra. Per prendere parte alla performance, la Fondazione Nicola Trussardi ha aperto un casting (informazioni e prenotazioni al numero telefonico 02 8068821, press@fondazionenicolatrussardi.com). All’opera si ispira anche l’Instagram Call #TeachingToWalk: un invito a condividere i propri primi passi o quelli di chi amiamo per realizzare un grande album collettivo. L’esposizione è stata anticipata dal progetto di Yoko Ono #MyMommyIsBeautiful, lanciato congiuntamente all’artista lo scorso 10 maggio per celebrare le mamme sul web e sui social network. Promossa in collaborazione con il Corriere della Sera e la 27 Ora, la Call, che accompagna la mostra per tutta la sua durata, ha già raccolto migliaia di tributi e immagini dall’Italia e dal mondo. [/quote_box_center]

 

 

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La Grande Madre

Dove:  Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano

Quando: dal 26 agosto al 15 novembre 2015

Orari: lunedì: 14.30 – 19.30 ; martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30 –19.30 ;  giovedì e sabato: 9.30 – 22.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.

Biglietti: intero 8 € ; ridotto  5 €

Info: 02.8068821 ; www.fondazionenicolatrussardi.com ; www.lagrandemadre.org

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