SAVIGNANO SUL RUBICONE. E’ una delle mostre più attese al SI Fest 2015. In anteprima nazionale, The Vanities di Larry Fink – reduce dal prestigioso Infinity Awards 2015, storico riconoscimento del newyorchese ICP (International Centre of Photography), per la sezione Art- offre uno specchio completamente originale della mondanità hollywoodiana. Larry Fink esporrà al SI Fest anche con una seconda mostra, The Beats, suo primo lavoro, realizzato quando l’autore non era ancora maggiorenne.

L’esposizione, a cura di Admira, inserita all’interno del festival di Savignano, sarà aperta nel week end inaugurale dell’11-12 e 13 settembre con apertura delle esposizioni fino al 27 settembre.

 

THE VANITIES


 

 

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di Enrica Viganò

Larry Fink coglie l’attimo, ma i suoi attimi non rappresentano mai la scena principale, rappresentano piuttosto l’essenza e l’atmosfera. Larry Fink da sempre osserva l’essere umano, non cerca la posa perfetta, registra l’agire e l’interagire: “I really do embrace – or try to embrace – the souls of all people, regardless of their conditions.” L’esplorazione visiva fa parte della sua storia di reporter, artista, fotografo sociale – nel senso originale del termine – e narratore.

La sua capacità di muovere l’obiettivo su e giù, con prospettive inusuali, seguendo traiettorie alternative e spiazzanti si è convertita in un marchio di fabbrica molto apprezzato, tanto che Vanity Fair lo ha prescelto per fotografare i suoi famosi party hollywoodiani, crogiuolo di divi, e aspiranti tali, in bella mostra.

 

[pull_quote_center]This is the party of the parties, they say. At a party, and especially a party like this, everyone wants to be seen. How they are seen is another matter, and I take this matter into my hands.[/pull_quote_center]

 

A differenza degli altri fotografi attivi in questi eventi, Larry Fink non va cercando i nomi più celebri e gettonati del jet set e dello spettacolo, anzi i nomi non li conosce proprio, non sa individuare i suoi soggetti, lui coglie il flusso di movimenti, dialoghi, sguardi, contatti. La sua fotografia è talmente fisica che ti sembra di sentire odori, suoni e sapori, come se fossi lì in mezzo, nella calca più glamour d’America.

 

[pull_quote_center]It’s about empathy… I like to say that if I was not a photographer, I would be in jail. I want to touch everything. My life is profoundly physical. Photography for me is the transformation of desire [/pull_quote_center]

 

Il suo lavoro prende le distanze anche da quel tipo di fotografia, diffusa negli ultimi anni, che vuole spietatamente ridicolizzare il soggetto. Fink ha dichiarato che non vuole e non potrebbe mai essere crudele, infatti non parte da pregiudizi per comprovarli con i suoi scatti e non distorce per cercare l’effetto, perché preferisce mettere in fotografia le sue percezioni. Il suo racconto diventa sensuale, a volte persino carnale, sicuramente autentico e molto umano.

Come scrive Luc Santé nell’introduzione al libro The Vanities. Hollywood Parties 2000-2009 : “He is registering almost every detail except the identities of his subjects”.

 

 

LARRY FINK. THE BEATS


 

 

Larry Fink ha 17 anni quando incontra  i suoi amici beat. Sono gli anni ’50, verso la fine, tante cose sono già successe: Allen Ginsberg ha pubblicato Howl (1956), Jack Kerouac ha pubblicato On the Road (1957) e Robert Frank ha girato Pull My Daisy (1959): i manifesti della Beat Generation sono già in circolazione. La generazione che nel dopoguerra ha respinto le norme imposte dalla società e ha infranto molti tabù ha ormai trovato spazio, audience e seguaci. Letteratura, jazz, poesia e arte sono stravolti da questa ondata innovativa, ma tanto deve ancora succedere.

Larry sente che il suo temperamento è molto vicino a quei ragazzi liberi e sballati che incontra per caso e che per un po’ diventano la sua famiglia. Larry precisa che la sua esperienza è oramai inserita nella seconda generazione Beat, quella che avrebbe portato alle proteste dentro le Università e contro la guerra in Vietnam.  Con i suoi compagni di avventura, autoproclamatisi “i sotterranei”, vivono sotto il Sullivan Street Theatre e scavano delle specie di tunnel per raggiungere il famoso e adiacente jazz club Village Gate. Si beano del suono che ne esce, i miti del jazz sono lì a distanza di pochi mattoni: Coltrane, Mingus, Blakey. Il jazz sarà la colonna sonora di tutta l’esistenza di Larry Fink: tuttora lo suona, lo ascolta, lo studia con grande amore.

 

 

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La non adesione dei beat alla società ancora molto bigotta del dopoguerra li spingerà a sperimentare nuovi percorsi in tutti i sensi e con tutti i sensi. Ecco che il viaggio verso il Messico è lo sviluppo naturale di queste scelte anticonformiste e la squinternata compagnia si mette sulla strada con tutta la passione e l’improvvisazione del caso.  Da New York attraversano in autostop tutta l’America fino a raggiungere il confine a Sud e Larry li fotografa giorno dopo giorno, dal di dentro del gruppo, ma con quella distanza intellettuale che caratterizzerà per sempre la sua visione. Il giovane Fink ha già la consapevolezza dell’inquadratura, delle linee e della luce. Le immagini, scattate con una macchina fotografica di medio formato, sono intime, spigolose ma anche romantiche e visionarie. Ci raccontano di un mondo lontano, quando i rapporti erano reali e non virtuali, come scrive Mitch Epstein: “I soggetti in queste fotografie non hanno l’iPhone; si connettono tra di loro attraverso chitarre, macchine da scrivere, libri, percussioni e penne”. Vivono una libertà resa ancora più sconfinata dall’uso di marijuana. La sessualità sperimenta vie alternative. La ricerca spirituale è un’occasione per perdersi. La politica tende al progressismo ma senza troppo coinvolgimento. Tutto quello che vogliono è vivere come gli pare, alla faccia del conformismo, del maccartismo, del perbenismo.

Il poetico vagabondare di questa generazione underground viene registrato da Fink con estrema grazia e getta le basi di quello che sarà il suo stile di scrittura fotografica, attento alla sensibilità dei suoi soggetti e necessario per il suo stare in questo mondo: “Fotografo perchè vivo. Voglio trasmettere la passione di vivere ai posteri nel miglior modo che posso.”

L’empatia che anima Fink in questo suo primo lavoro (pubblicato solo recentemente da L’Artiere di Bologna e PowerHouse di New York) sarà una costante nei progetti di tutta la sua carriera professionale, lunga ormai più di cinquant’anni: dal mitico Social Graces alle immagini sul jazz e sulla boxe per citarne alcuni. Cresciuto a Brooklyn in una famiglia politicamente attiva e fortemente progressista, Fink ha mantenuto negli anni quell’impostazione colta e aperta alle arti che i suoi genitori gli hanno trasmesso. Vive con la musica perennemente al suo fianco, la casa che divide con la moglie e artista Martha Posner è una fattoria “beat”, tanti spazi disordinatamente sparsi tra campi coltivati, stagni, animali e grandi alberi, tanti strumenti musicali, tanti libri. I sensi sempre all’erta con quella voglia di vivere e scoprire che non lo abbandona mai.