Le icone della moda del XX secolo in mostra a Carpi

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Fino al 6 marzo, i Musei di Palazzo dei Pio a Carpi, in provincia di Modena, ospitano la mostra Habitus. Indossare la libertà.

L’esposizione mostra come, nel Novecento, le tappe più significative di innovazione della moda abbiano coinciso spesso con momenti di liberazione del corpo, soprattutto femminile, da costrizioni fisiche e sociali. E tutto ciò avviene in una delle città italiane con una ricca e importante tradizione nel settore tessile abbigliamento.

Gabrielle Chanel sulle spalle del ballerino Serge Lifar
Gabrielle Chanel sulle spalle del ballerino Serge Lifar, 1937, Jean Moral

La moda in mostra a Carpi, tra libertà e innovazione

La moda è una delle forme espressive umane che forse meglio incarna i continui cambiamenti storici, e la cui influenza ha coinciso con il concetto di libertà. Per questo il percorso espositivo si sviluppa in quattro passaggi, ognuno dei quali è introdotto da fotografie, video, musica che contestualizzano il periodo preso in esame. Non mancano anche una serie di indumenti iconici come gli abiti ispirati all’anticorsetto di Paul Poiret, i primi pantaloni creati da Coco Chanel per le donne, la minigonna, gli hot pants, i bikini, i jeans, la giacca destrutturata di Giorgio Armani. A questi si aggiungono molti altri ancora che hanno contribuito all’emancipazione, alla sovversione di paradigmi e canoni e alla liberazione dei costumi sociali.

Smiling woman pinup wearing two piece gold bikini bathing suit posing riding water skis indoors Los Angeles
Let’s Go Water Skiing – Smiling woman pinup wearing two piece gold bikini bathing suit posing riding water skis indoors Los Angeles, California, 1949 Photo by Camerique/Getty Images

Liberare il corpo

Il primo, Liberare il corpo, prende avvio a inizio Novecento, quando i creatori di moda si pongono come obiettivo principale quello di liberare il corpo femminile dalle costrizioni dell’abbigliamento (busti, pizzi, abiti lunghi) e quindi dalle convenzioni sociali che chiudono la donna in cliché predefiniti. Questa innovazione va di pari passo con l’apparire di alcune figure che conquistano ruoli e diritti fino ad allora tradizionalmente maschili, dall’aviatrice Amelia Earhart a Marie Curie alle suffragette di Emmeline Pankhurst o all’eroina dell’animazione Betty Boop.

Fu lo stilista francese Paul Poiret ad aver determinato, con il suo anticorsetto del 1914, la prima rivoluzionaria scelta di liberare il corpo della donna, sia fisicamente che sessualmente, che socialmente. Fu invece Coco Chanel, pioniera della moda emancipata, a disegnare, subito dopo la Grande Guerra, capi confortevoli ed elegantissimi e a sdoganare per le donne l’uso del pantalone.

Strettamente legato a questo capo di abbigliamento, Marcel Rochas crea nel 1932 il power suit, ovvero il completo femminile giacca e pantalone, che divenne simbolo della parità dei diritti tra sessi, in particolare nel lavoro, che verrà poi ripreso e rilanciato dagli stilisti negli anni ’80.

Legata indissolubilmente all’evoluzione della condizione femminile, la storia del reggiseno ha subìto la vera e propria svolta moderna verso il 1920: nonostante venissero ancora usati i corsetti, questi ultimi iniziarono a essere più corti, affidando il contenimento del busto interamente al reggiseno, che all’epoca era simile a una fascia leggermente conformata. Questo indumento, per come oggi lo conosciamo, ha origine nel 1922, quando Ida Rosenthal, cucitrice presso il piccolo negozio newyorchese Enid Frocks, notò che ogni modello avrebbe dovuto adattarsi maggiormente a ogni donna, e iniziò a produrne per ogni forma ed età.

Mondina nella campagna carpigiana
Mondina nella campagna carpigiana, databile 1947-1948, Fondo Gasparini

Scoprire il corpo

Scoprire il corpo introduce il visitatore negli anni del secondo dopoguerra, quando le donne, complice anche la diffusione delle immagini cinematografiche, affermano le loro libertà anche scoprendo il proprio corpo.

Silvana Mangano di Riso amaro (1949) veste nel film esattamente come le mondine che partivano da Carpi per le terre piemontesi e le minigonne non erano molto diverse da quelle che le operaie delle fabbriche di Carpi si cucivano negli anni sessanta.

Iconici a riguardo sono i bikini, che liberarono le donne dagli scomodi camicioni da spiaggia, gli hot pants nati a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta che permisero di scoprire finalmente le gambe e, soprattutto, la minigonna, capo-simbolo della battaglia femminista che, grazie a Mary Quant si diffuse dalla Swinging London al mondo intero negli anni sessanta.

Diane nel suo primo showroom sulla Settima Strada a New York
Diane nel suo primo showroom sulla Settima Strada a New York, 1973, Burt Glinn/Magnum Photos

Work, sport, cool

Con la sezione Work, sport, cool, la rassegna si spinge negli anni settanta e ottanta, periodo in cui la moda diventa unisex, e il vestito griffato, tipico della sartoria artigianale, lascia il posto al prêt-à-porter con capi prodotti serialmente.

Esemplificativi di questo periodo sono le t-shirt e i jeans, entrambi nati come capi da lavoro, ma che divennero icone prima di ribellione (James Dean e la sua Gioventù bruciata) poi del nuovo modo di vestire casual, o lo sportswear, nuovo simbolo di lusso moderno. Ed è la felpa, della carpigiana Best Company soprattutto, a rappresentare questo cambio di passo e di mentalità che riguarda anche il ruolo dei giovani nella società.

Gabrielle Chanel nella sua casa in Costa Azzurra con il suo cane
Gabrielle Chanel nella sua casa in Costa Azzurra con il suo cane, 1930 ca. © Chanel

Destrutturare

La mostra si chiude con Destrutturare, un passaggio all’interno della moda degli anni settanta caratterizzata da due capi divenuti iconici, come il Wrap dress di Diane von Furstenberg e la Giacca destrutturata di Giorgio Armani, che impongono una nuova concezione di abito “destrutturato”, ovvero senza imbottitura e controfodera, con i bottoni posizionati in un altro punto del tessuto e le proporzioni completamente riviste, con una innovativa modalità di chiusura facile ed essenziale, per creare, come ha affermato Giorgio Armani, una vestibilità “rilassata, informale, meno rigorosa, che lascia intuire il corpo e la sua sensualità”.

Accompagna l’esposizione un progetto collaterale a cura di Fondazione Fashion Research Italy, no-profit nata per affiancare le manifatture moda attraverso attività di formazione e consulenza su temi strategici quali heritage, sostenibilità e innovazione digitale. In mostra, quindi, anche una serie di 29 disegni ispirati alla natura, parte dell’Archivio di Textile Design della Fondazione.

Habitus. Indossare la libertà
DoveMusei di Palazzo dei Pio, piazza dei Martiri 68, Carpi (Modena)
Quandofino al 6 marzo 2022
Oraridal martedì al venerdì dalle 10 alle 13. Sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 18
Ingresso8 euro intero; 5 euro ridotto
Infotel. 059/649955 – 360
The Mammoth's Reflex
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