I Must Have Been Blind, Simone D’Angelo

 

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Sono nato nella Valle del Sacco, un’area del Lazio meridionale che prende il nome dal fiume che l’attraversa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la valle venne inserita nella categoria delle “aree depresse”, dando inizio ad un processo di industrializzazione che ne ha compromesso la naturale vocazione agricola fino al riconoscimento, nell’ultimo decennio, dello stato di emergenza ambientale.

Anni di indagini hanno evidenziato l’entrata in circolo nella catena alimentare di agenti tossici come il beta-esaclorocicloesano, presente nel lindano, un potente insetticida impiegato in agricoltura sin dagli anni ’50 e vietato solo nel 2001. Oggi la zona è inserita nei Siti di bonifica di Interesse Nazionale.

Questo è il contesto di squilibrio ecologico che avevo programmato di raccontare, mostrando le alterazioni visibili di un microcosmo che presumevo di conoscere, ma che d’un tratto mi appariva come alieno: un luogo fuori dal tempo dove ogni indizio sugli effetti del sistema produttivo umano mi indirizzava su immagini che sembravano voler suggerire il riscatto di una natura che dell’uomo può farne a meno. La presenza umana è infatti esclusa. Fragile e disutile come le tracce che lascia.

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“Conoscevo la situazione ambientale della Valle del Sacco perché sono nato e cresciuto proprio lì, a pochi minuti dalla zona industriale in cui anche i miei genitori hanno lavorato. Tuttavia, non avevo mai valutato seriamente l’intenzione di farne un progetto fotografico probabilmente perché assuefatto dall’auto-convincimento che la fotografia fosse legata soprattutto ad un mio bisogno di evasione dall’ordinario”.

Le cose sono cambiate nel corso di una masterclass di fotografia documentaria tenuta da Massimo Mastrorillo che ha costretto Simone D’Angelo a rimodellare il suo rapporto con la fotografia aprendolo a nuovi stimoli, compreso un ridimensionamento obbligato del raggio d’azione.

“Sono tornato a casa e da lì sono ripartito, scoprendo quanta più attenzione sia necessaria per vedere l’ambiente in cui si vive e quante possano essere, di conseguenza, le ri-scoperte. Da qui il titolo I must have been blind, preso in prestito da un canzone di Tim Buckley del 1969. L’ho trovato indicato per evocare questo ritorno alla consapevolezza, personale o collettiva che sia”.

 

 

 

Un progetto in cui la presenza umana non è tangibile o visibile ma in cui è percepibile la sua traccia. “All’inizio ho trovato non poche difficoltà nel confrontarmi con un ambiente, la campagna industrializzata, in cui la figura umana sembra solo accessoria e offuscata da una lotta continua tra crisi e sviluppo, cemento e vegetazione: crescono piccole giungle sui parcheggi abbandonati delle fabbriche chiuse e nascono nuove strutture sui terreni agricoli non più coltivati o coltivabili. Abituato a raccontare i luoghi attraverso le persone che li vivono, ho finito per arrendermi a quest’assenza e mi sono lasciato guidare dalle tracce umane, spesso disutili, lasciate sul paesaggio”.

 

 


 

Simone D’Angelo è nato ad Anagni nel 1978. Vive e lavora a Roma, dove studia allo IED conseguendo un Master in Web Design & Strategy. Fotografa con coscienza e da autodidatta dal 2008, dopo un viaggio in Indonesia. Tra il 2014 e il 2015 segue un corso specialistico in fotografia documentaria con Massimo Mastrorillo in collaborazione con l’associazione 001 di Roma e la Luz Academy. Qui sviluppa l’idea di I Must Have Been Blind, premiato nel 2015 come miglior progetto nel Leica Talent e successivamente inserito nel circuito mostre di Fotoleggendo 2015.

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