La Fiaf ha annunciato il vincitore dell’edizione 2020 di “Portfolio Italia – Gran Premio Fujifilm”. Si tratta di Maria Cristina Comparato con il progetto “Della presenza”.
Si tratta di un portfolio composto da 11 immagini a colori realizzate nel 2020. Con la segreta azione introspettiva dell’autoscatto l’autrice riflette sulla propria condizione dopo la diagnosi di una malattia, già in stadio avanzato, che conduce inevitabilmente a una serie di mutamenti, non necessariamente evidenti, che mettono in discussione la propria presenza nel mondo.
Il racconto di un dramma vissuto sulla propria pelle
Da questo processo creativo è generata una sequenza d’immagini concettuali, essenzialmente simboliche, che si succedono in sala di posa con lo stesso fondale: l’orizzonte chiuso tra il profilo di candide lenzuola e un muro chiaro liscio ma invalicabile. Questo spazio simbolico senza cielo, racchiuso nella limitatezza di un letto, ci fornisce gli elementi per comprendere il particolare stato d’animo di chi è privato della serenità per guardare al domani, perché ammalato.
Col titolo “Della presenza” l’autrice declina la lettura dell’opera verso il dramma esistenziale di una giovinezza ferita da una patologia invalidante, anche nella sfera più intima. Nella sequenza fotografica il suo giovane corpo è la voce narrante del proprio vissuto che, con la delicatezza di un confidenziale “guarda qui…”, mostra i segni dell’invasiva azione di cura.
Queste immagini, con la scelta della condivisione, attivano la trasfigurazione artistica e il suo corpo provato diventa il corpo di ogni donna che ha vissuto la medesima esperienza. Dopo l’oggettività della documentazione medica – con la diagnostica, i medicinali e gli strumenti di cura – la narrazione dal corpo si orienta verso la paura e l’angoscia di un futuro incerto: la similitudine del ramoscello ingiallito e poi… la scena vuota.
L’occhio attonito rivolto all’ignoto, chiude l’opera. La sua forza espressiva ci mostra i segni di una energia morale enorme che l’autrice ha messo in campo per contrastare la deriva depressiva, fatalmente indotta dagli eventi, e trovare le ragioni per una nuova visione del proprio domani.
Gli altri fotografi premiati
Al secondo posto ex aequo sono stati premiati “Ruggine” di Francesca Artoni e “Lassù” di Beniamino Pisati.
“Ruggine“ è un portfolio composto da 16 immagini a colori realizzate nel 2020. Un reportage che ci conduce diritti nel territorio della post- fotografia, nel caso specifico in quella pratica autoriale che prevede l’utilizzo in chiave critica di immagini di repertorio. “Ruggine” riannoda fatti, collega episodi, si interroga – e ci interroga – se l’osservazione delle fotografie produca ancora una risonanza emotiva oppure se anche il “meccanismo” dell’empatia sia corroso e reso inservibile da un invisibile ma presente strato di ruggine.
Se da un lato queste fotografie ci assalgono con l’interezza del dramma infiammando la nostra partecipazione, dall’altro innalzano inevitabilmente l’asticella dell’indignazione, per cui, per manifestare il nostro sdegno, abbiamo bisogno di immagini sempre più forti. “Ruggine” non partecipa a questo agonismo. L’obiettivo di Francesca Artoni è più concentrato a intessere un rapporto tra Storia e individuo tra ricadute collettive e personali, cercando di comprendere se lo sguardo rugginoso con cui ci apprestiamo a vedere gli avvenimenti del mondo sia sempre esistito o se la ruggine si è inspessita alla luce di eventi nuovi. Questa è la materia che interessa la fotografa. E altrettanto materiche sono le sue fotografie. Così cosparse d’un velo di ruggine, le fotografie stabiliscono un valore filologico tra immagine e contenuto che suona come un ammonimento o, se vogliamo, una barra con cui seguire la rotta dei contenuti.
“Lassù” di Beniamino Pisati è un portfolio composto da 18 immagini in bianco e nero realizzate fra il 2009 e il 2020. Un decennio di lavoro sul ben radicato fenomeno della pastorizia in quella terra di Valtellina, tradizionalmente legata al proprio mondo rurale.
Il fotografo durante il lavoro ha conosciuto e condiviso vita con decine di alpeggiatori, persone di sorprendente impegno la cui affezione e frequentazione si è spinta oltre alla necessità del lavoro documentario. Da un punto di vista semantico, le immagini del fotografo richiamano gli stilemi del reportage classico, ma in ognuna vi sono più livelli di lettura.
Ciò grazie al complesso ma delicato utilizzo di piani immagine in cui primo piano, soggetto e sfondo alternano la propria funzione. Così come l’apparentemente casuale accostamento di elementi fisici contiene ben precisi significati. Per tali ragioni anche i singoli fotogrammi non riducono il proprio valore intrinseco, attestando questa operazione come una eccellente opera documentaria