Nel mese di maggio a Caorle, in provincia di Venezia, si è svolto il 75° Congresso Nazionale FIAF.
Con questo traguardo la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche ha voluto celebrare il suo lavoro decennale di divulgazione e di sostegno alla fotografia amatoriale italiana offrendo l’esposizione di varie mostre. Tra queste anche quella del fotografo torinese Gustavo Millozzi, classe 1934, conosciuto come uno dei più significativi autori del neorealismo italiano.
Millozzi inizia a fotografare da giovane, quando era ventenne, vivendo “sulla propria pelle” le molteplici declinazioni che la fotografia ha attraversato nei successivi decenni, seguendo di pari passo l’arte contemporanea. Dalla fotografia concettuale degli anni Sessanta e Settanta al post-mediale degli anni Novanta fino al Digitale negli anni Duemila.
Una figura poliedrica della fotografia
Fotografo, opinionista, didatta, curatore di rassegne fotografiche, di attività collaterali fotografiche, e ancora oggi attivissimo editore e divulgatore sul web con Fotopadova, Millozzi vanta un CV ricco di premi, ruoli e onorificenze. Oggi è una tra le personalità poliedriche della fotografia.
Per i suoi contributi culturali in ambito fotografico, nel 1980 viene insignito del titolo di Commendatore della Repubblica Italiana e nel 1983 la FIAP (Fédération Internationale de l’Art Photographique) lo nomina – primo in Italia – Maitre (Maestro). Fondatore e primo presidente del Fotoclub Padova e del Gruppo Fotografico Antenore, tra i vari riconoscimenti ricevuti, ci sono quelli della FIAF. che, oltre a quello di EFIAF “Encomiabile della FIAF” quest’anno gli ha conferito il riconoscimento “Una vita con la FIAF”.
Nell’ambito fotografico è conosciuto per l’instancabile impegno dimostrato nei confronti della fotografia. Il suo curriculum è ricchissimo di successi personali. Qual è stata la spinta che l’ha indirizzata verso questo modo e quale significato attribuisce alla fotografia?
Alla mia età la fotografia resta, come è stata all’inizio, una passione e l’occasione di incontrare persone con cui condividerla. Da questa nasce la volontà di impegnarmi nella divulgazione sia dal lato culturale (non sempre ricercato!) che organizzativo nei miei numerosi incarichi in campo nazionale ed internazionale.
Ancora oggi resta viva questa passione che coltivo nella gestione e cura del mio archivio, oltre ai contatti e alle molte attività che realizzo anche grazie all’uso quotidiano dei social e del web.
A Caorle la sua ultima mostra, “Ricordando Venezia”, con immagini della fine degli anni Cinquanta e inizio anni Sessanta e che solo in parte rappresentano il suo ampio archivio fotografico. Tra tutte quelle esposte, c’è una fotografia a cui è particolarmente legato?
Quando sono stato invitato a presentare una mia mostra a Caorle, località veneta, ho subito pensato di esporre immagini di Venezia, capoluogo di tale regione, facendo nel contempo così omaggio a quella che è stata mia città di adozione, dove ho passato i migliori anni della mia giovinezza e che amo profondamente.
Ogni mia fotografia, che è sempre ricordo, ha per me un valore e un significato speciale. Faccio fatica a preferirne una o un’altra perché ciascuna rappresenta un periodo della mia vita e della mia evoluzione come fotografo e come persona. Anche oggi, nel ritrovare nuove immagini nei miei vecchi negativi, ricevo la stessa emozione.
Immagini, queste di Venezia, che oggi delimitano lo stile street photography. Cosa l’ha portata verso questa direzione?
Ho sempre considerato piuttosto vago il termine street photography da molti considerato invece troppo strettamente. In poche parole, è una pratica fotografica che consiste nel fotografare persone in momenti spontanei nella vita di tutti i giorni in ambienti quotidiani, non solo all’aperto e può trovarsi in opere di qualsivoglia corrente artistica.
Nel mio modo di fotografare non è stata sempre applicata in quanto mi sono interessato anche al ritratto, alla natura morta e al paesaggio pur mantenendomi in una corrente ben definita.
Queste fotografie su Venezia, raccontano un periodo storico, abitudini, modi di vestire, atmosfere. Sono passati più di Sessant’anni e a Venezia, come altrove, tutto è mutato.
Non le capita mai di riguardare le sue immagini d’archivio e pensare se le è sfuggita qualche foto? E se sì, qual è la fotografia che avrebbe voluto catturare?
Quando da bambino sono arrivato a Venezia nel lontano 1940 l’ho subito vista come una città abitata dai colombi, dai gatti e dai bambini, soprattutto da quest’ultimi: venivo da Torino dove i piccoli non li vedevi mai soli per le strade.
A Venezia, invece, grazie all’assenza di pericoloso traffico, riempivano senza limitazioni, campi (ognuno aveva la sua “banda”), fondamenta e calle con i loro giochi. E non erano neppure rari i tuffi nei canali.
Un particolare modo di vivere che ho ripreso con la macchina fotografica. Nel tempo ne è risultata una nutrita serie di immagini alle quali son particolarmente legato e una specifica mostra.
Non sono riuscito a realizzare gli scatti su come oggi vivono i bambini veneziani in una città ben diversa da quella che ho conosciuto e raccontato. Mi sarebbe piaciuto fare un confronto con le mie prime fotografie, scattate oltre 65 anni fa. Oltre a questo, come per ogni fotografo, tante sono certamente le situazioni e i momenti che non ho potuto fissare o che mi sono sfuggiti.
La corrente culturale che si è circoscritta tra la Seconda guerra mondiale e il secondo dopoguerra è il neorealismo. Lei è stato definito da critici e storici come fotografo neorealista. È corretto?
Non posso escludere che nei miei lavori si celino delle note che portino critici e storici a definirmi come fotografo neorealista. Io però mi sento molto più vicino alla corrente umanista e ancor più legato a quella lirico-realista della École de Venise, come la definì il fotografo-critico Daniel Masclet quando negli anni ’50 fu esposta a Parigi una mostra del circolo fotografico La Gondola. D’altro canto devo tanto della mia formazione all’adesione di quel sodalizio dove furono miei maestri – tra altri – anche Gianni Berengo Gardin, Giuseppe “Bepi” Bruno, Paolo Monti e Luciano Scattola.
Ha avuto dei maestri sia visivi che letterari?
Mi ha accompagnato molto la lettura. Tra queste cito le opere di Giovanni Guareschi, chiare e oneste. Certamente Venezia non era la bassa con la sua campagna e i suoi borghi, ma in ogni città, anche la più grande e maestosa, si può sempre trovare il Mondo piccolo con i suoi personaggi e la loro semplice vita: bisogna saperlo vedere.
Di recente un grande fotografo come Martin Parr ha affermato che i social media hanno reso la fotografia più democratica. Condivide questo pensiero?
Dalle pitture rupestri in poi, le tecniche con cui l’uomo ha voluto rappresentare figuratamente la sua vita e le sue fantasie si sono evolute e, senza dubbio, evolveranno ancora. Grazie allo sviluppo di nuove e più sofisticate tecnologie l’atto del fotografare si è semplificato; ma quanto oggi prodotto, diversamente da quanto ci è restato del passato, rimarrà per i posteri?
Le immagini che oggi vengono prodotte – e che ammiriamo per la loro perfezione a causa della loro specifica natura – forse svaniranno nel tempo e spariranno nella futura memoria.
La riproduzione dell’immagine è continuamente avanzata limitando sempre più le nostre capacità d’intervento. Certamente, facilita e impegna sempre meno le nostre facoltà; ma nello stesso tempo la fotografia va spersonalizzandosi.
Si sono sempre più moltiplicate in grandi e piccole località, sotto varie denominazioni, le manifestazioni di fotografia che offrono mostre ed eventi con curatele spesso poco o per niente qualificate, come pure personali di arte fotografica che raramente si raffrontano a tale temine. Per non parlare dei tanti workshop dei quali non pochi son utili solo ai proponenti… Ciò certamente non giova e crea confusione sul piano culturale e a chi inizia un percorso fotografico.
E cosa ne pensa dell’intelligenza artificiale?
Oggi l’intelligenza artificiale avanza prepotentemente, con i suoi limiti e pericoli, anche nella fotografia (ma si può ancora usare tale termine?).
L’IA può trovare nel mondo digitale – solo su nostre poche e sommarie indicazioni e tra le innumerevoli fotografie fatte da altri – particolari atti a formarne di nuove senza alcun’altra nostra azione. Ma chi è il vero autore? E la passione e la bellezza, oltre alla consapevolezza e alla soddisfazione d’essere il creatore di quell’immagine, dove andrà a finire?