A Torino la retrospettiva dedicata a David Seymour

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TORINO. Fino al 14 settembre la città di Torino ospita, nella sede di Palazzo Reale, una retrospettiva monografica dedicata a uno dei più leggendari fotoreporter del XX secolo: David Seymour (1911-1956) co-fondatore nel 1947 dell’agenzia Magnum Photos insieme a Henri Cartier-Bresson e Robert Capa.

 

Austria, Vienna, 1948. Un bambino di una famiglia numerosa con una bambola fatta in casa © David Seymour / Magnum Photos
Austria, Vienna, 1948. Un bambino di una famiglia numerosa con una bambola fatta in casa © David Seymour / Magnum Photos

 

L’esposizione, organizzata da Silvana Editoriale, in collaborazione con Magnum Photos e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte, è l’occasione per far conoscere a un vasto pubblico il lavoro di David Seymour e la sua fondamentale eredità nel campo del fotogiornalismo. Il percorso espositivo si compone di 127 fotografie in bianco e nero, suddivise in 9 sezioni (Francia, La Guerra Civile in Spagna, Germania, L’Europa dopo la Seconda guerra mondiale, I bambini della guerra, Israele, Egitto, Celebrità, Ritratti di Chim), che illustrano le tappe fondamentali della sua intensa carriera.

 

David Seymour (sulla sinistra) e Robert Capa. Parigi. Francia. 1952.  © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos
David Seymour (sulla sinistra) e Robert Capa. Parigi. Francia. 1952.
© Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

 

David Seymour, al secolo David Szymin – in seguito abbreviato nello pseudonimo Chim (pronuncia Scim) –, nasce a Varsavia il 20 novembre 1911 da una famiglia benestante di ebrei polacchi (il padre è uno stimato editore di libri Yiddish). Dopo gli studi in arti grafiche a Lipsia, inizia la carriera fotografica a Parigi nel 1933, dove frequenta e diventa amico di Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, dal cui sodalizio amicale e lavorativo nascerà nel 1947 l’agenzia Magnum Photos, alla quale si aggiungeranno successivamente George Rodger e William Vandivert. Intellettuale umanista, appassionato di politica, conoscitore di sei lingue, David Seymour è uno dei primi fotoreporter di guerra: ama considerarsi un artigiano della fotografia, non un artista; utilizza una macchina fotografica all’avanguardia, una Leica 35mm, per riuscire a rendersi anonimo nel momento dello scatto e poter così immortalare persone e fatti nella maniera più autentica possibile, spingendosi fin nel cuore dell’azione.

Segue i più significativi eventi politici dell’epoca per importanti riviste, tra cui “Life” e “Regards”, a cominciare dalla Guerra Civile in Spagna, durante la quale scatta la celebre foto della madre che allatta il suo bambino nel corso di una manifestazione contadina, diventata inconsapevolmente un simbolo e un’icona di quella rivolta. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, ripara a New York, ma riesce a tornare in Europa nel 1943 arruolandosi nella US Air Force, con il delicato compito di fotointerprete delle immagini aeree. Documenta il suo tempo senza riserve, nutrito da una forte coscienza sociale che lo porta a non sottrarsi mai, nemmeno di fronte alla difficoltà di raccontare l’infanzia rubata degli orfani di guerra: in questi scatti riversa tutta la sua sensibilità ed empatia. La sua serie più celebre è infatti I bambini della guerra, realizzata per l’Unicef negli anni del dopoguerra. Si tratta di immagini toccanti, che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sull’incredibile numero di bambini orfani, mutilati fisicamente e spiritualmente.

 

David Seymour con la prima moglie di Elliott Erwitt Lucienne e le sue figlie Misha ed Ellen. Parigi. Francia. 1956. © Elliott Erwitt / Magnum Photos
David Seymour con la prima moglie di Elliott Erwitt Lucienne e le sue figlie Misha ed Ellen. Parigi. Francia. 1956.
© Elliott Erwitt / Magnum Photos

 

David Seymour è stato ucciso a Suez nel 1956, mentre stava preparando un servizio per “Newsweek” sul conflitto arabo-israeliano, quattro giorni dopo la firma dell’armistizio: la macchina su cui viaggiava è stata crivellata da una mitragliatrice egiziana, durante il viaggio per documentare uno scambio di prigionieri feriti. Non si è mai sposato e non ha avuto figli: gli scatti indimenticabili che ha lasciato sono la sua unica eredità, e la sua lezione più importante è il profondo rispetto per l’uomo che da essi trapela.

 

“Chim prendeva la sua macchina fotografica nel modo in cui un medico estraeva lo stetoscopio dalla borsa, concentrando la sua diagnosi sul cuore. Il suo era vulnerabile” (Henri Cartier-Bresson).

 

La mostra è accompagnata da un volume che comprende una selezione di fotografie del percorso espositivo, oltre a un contributo critico di Francesco Zanot.

Info: www.ilpalazzorealeditorino.it

 

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