Henri Cartier-Bresson, la mostra all’Ara Pacis di Roma

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MILANO. Sarà esposta fino al 25 gennaio, al Museo dell’Ara Pacis, la mostra retrospettiva Henri Cartier-Bresson a cura di Clément Chéroux, storico della fotografia e curatore al Centre Pompidou, Musée national d’art moderne.

Il genio per la composizione, la straordinaria intuizione visiva, la capacità di cogliere al volo i momenti più fugaci come i più insignificanti, fanno di Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004) uno dei più grandi fotografi del ventesimo secolo. Nel corso della sua lunga carriera, percorrendo il mondo e posando lo sguardo sui grandi momenti della storia, Cartier-Bresson è riuscito a unire alla potenza della testimonianza la poesia.

 

Haifa, Israele, 1967. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Haifa, Israele, 1967. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

Tre periodi scandiscono la sua opera: il primo, dal 1926 al 1935, durante il quale Cartier-Bresson frequenta i surrealisti, compie i primi passi in fotografia e affronta i suoi primi grandi viaggi; il secondo, dal 1936 al 1946, corrisponde al periodo del suo impegno politico, del lavoro per la stampa comunista e all’esperienza del cinema; il terzo periodo, dal 1947 al 1970, va dalla creazione della cooperativa Magnum Photos fino alla fine della sua attività di fotografo. Riduttivo sarebbe dunque individuare nella sola nozione di “istante decisivo” , che per lungo tempo è stata la chiave principale di lettura delle sue immagini, la sintesi del suo lavoro. Questa retrospettiva ripercorre cronologicamente il suo percorso, con l’ambizione di mostrare che non c’è stato un solo Cartier-Bresson ma diversi.

 

ietro la stazione Saint-Lazare, Parigi, 1932. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
ietro la stazione Saint-Lazare, Parigi, 1932. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

La mostra propone una nuova lettura dell’immenso corpus d’immagini di Cartier-Bresson, coprendo l’intera vita professionale del fotografo. Saranno esposti oltre 500 opere tra fotografie, disegni, dipinti, film e documenti, riunendo le più importanti icone ma anche le immagini meno conosciute del grande maestro: 350 stampe vintage d’epoca, 100 documenti tra cui quotidiani, ritagli di giornali, riviste, libri manoscritti, film, dipinti e disegni. L’itinerario espositivo offre una doppia visione: rintraccia la storia dei lavori di Cartier-Bresson, per mostrare l’evoluzione del suo cammino artistico in tutta la sua complessità e varietà, e, al tempo stesso, raccoglie e ”rappresenta” la storia del Ventesimo secolo attraverso il suo sguardo di fotografo.

 

Siviglia, Spagna, 1933. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Siviglia, Spagna, 1933. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

Dal Surrealismo alla Guerra Fredda, dalla Guerra Civile Spagnola alla seconda Guerra Mondiale e alla decolonizzazione, Cartier-Bresson è stato uno dei grandi testimoni della nostra storia; “l’occhio del secolo”, come giustamente è stato definito.

 

Hyères. Francia, 1932. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Hyères. Francia, 1932. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

Il percorso espositivo è diviso in nove sezioni che corrispondono alle diverse fasi della vita e del lavoro di Cartier-Bresson.

PREAMBOLO

Ho sempre avuto la passione per la pittura” scrive Cartier-Bresson. “Da bambino, la facevo il giovedì e la domenica, ma la sognavo tutti gli altri giorni”. Comincia prestissimo a disegnare. Abbellisce le sue lettere con disegni e riempie interi album di schizzi. Allo stesso tempo inizia a lavorare come fotografo dilettante. Dalla metà degli anni Venti, dipinge con regolarità presso Jacque-Emile Blanche o Jean Cottenet, prima di entrare nell’accademia di André Lhote. I suoi più antichi dipinti conservati risalgono al 1924 e in essi è evidente la traccia dell’influenza di Paul Cézanne. Nell’atelier di André Lhote il ragazzo contrae il virus della geometria. Le tele da lui dipinte tra il 1926 e il 1928 sono composte accuratamente, seguendo i principi del numero d’oro. Nello stesso periodo, Cartier-Bresson comincia a frequentare i surrealisti e a realizzare collage, seguendo l’esempio dell’amico Max Ernst.

 

Domenica in riva alla Senna, Francia, 1938. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Domenica in riva alla Senna, Francia, 1938. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

SEGNI ASCENDENTI

L’opera fotografica di Henri Cartier-Bresson è il prodotto di un insieme di fattori combinati: una certa inclinazione artistica, un assiduo apprendistato, un po’ di atmosfera del periodo, aspirazioni personali, molti incontri. Vede la luce negli anni Venti, sotto il doppio segno della pittura e della fotografia, praticate prima in modo amatoriale e poi sviluppatesi attraverso tappe fondamentali come il viaggio in Africa, tra il 1930 e il 1931. Reca le tracce del suo amore per l’arte: delle ore passate a leggere oppure a guardare dipinti nei musei. È stata profondamente segnata dall’insegnamento di André Lhote e dalla frequentazione degli amici americani: Julien

Levy, Caresse e Harry Crosby, Gretchen e Peter Powel. Il primo lo educa ai piaceri della composizione. Insieme agli altri, scopre le fotografie di Eugène Atget e quelle della Nuova Visione. Il primo Cartier-Bresson è il prodotto di queste diverse influenze: una complessa alchimia.

ATTRAZIONE SURREALISTA

Grazie a René Crevel, conosciuto a casa di Jacques Émile Blanche, Cartier-Bresson comincia a frequentare i surrealisti nel 1926. “Troppo timido e troppo giovane per prendere la parola”, come racconterà in seguito, assiste “in fondo al tavolo” a qualche riunione con André Breton nei caffè di Place Blanche. Di tali frequentazioni, gli resteranno alcuni motivi emblematici dell’immaginario surrealista: gli oggetti impacchettati, i corpi deformati, i sognatori a occhi chiusi, ecc. Ma è soprattutto l’atteggiamento surrealista a segnarlo: lo spirito sovversivo, il gusto del gioco, lo spazio lasciato all’inconscio, il piacere degli andirivieni urbani, la predisposizione ad accogliere il caso. Cartier-Bresson sarà particolarmente sensibile ai principi della bellezza convulsa, enunciata da Breton e la metterà in opera nel corso degli anni Trenta. Da questo punto di vista, è forse uno dei fotografi più autenticamente surrealisti della sua generazione.

 

Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

IMPEGNO MILITANTE

Come la maggior parte dei suoi amici surrealisti, Cartier-Bresson condivide molte posizioni politiche dei comunisti: un feroce anticolonialismo, un incrollabile impegno nei confronti dei repubblicani spagnoli e una fede profonda nella necessità di “cambiare la vita”. Dopo le violente rivolte organizzate nel febbraio del 1934 a Parigi dall’estrema destra, percepite come un rischio che l’ondata del fascismo europeo dilaghi anche in Francia, il suo impegno si fa più tangibile. Firma numerosi manifesti di “richiami alla lotta” e di “unità d’azione” delle forze di sinistra. Nel corso dei suoi viaggi in Messico e negli Stati Uniti, tra il 1934 e il 1935, le persone che frequenta sono molto impegnate nella lotta rivoluzionaria. Di ritorno a Parigi, nel 1936, la posizione di Cartier-Bresson si è radicalizzata e lui partecipa con regolarità alle attività dell’Associazione degli scrittori e artisti rivoluzionari (AEAR – Association écrivains et artistes révolutionnaires) e comincia a lavorare per la stampa comunista.

IL CINEMA E LA GUERRA

Cartier-Bresson diceva che cinema gli aveva “insegnato a vedere”. È nel 1934, durante il viaggio in Messico, che si manifesta il suo desiderio di realizzare un film. Vede nel cinema un mezzo per il suo impegno militante perché, rivolgendosi a un pubblico più ampio della fotografia e grazie alla sua struttura narrativa, riesce a far passare meglio il messaggio. Nel 1935, negli Stati Uniti, impara i primi rudimenti della telecamera con una cooperativa di documentaristi, ispirati tanto dalle idee politiche che dall’estetica sovietica. Sono riuniti intorno a Paul Strand e il loro nome è “Nykino”, cioè la contrazione delle iniziali di “New York” e della parola “cinema” in russo. Con loro realizza il suo primo cortometraggio. Di ritorno a Parigi, nel 1936, dopo aver tentato senza successo di farsi prendere come assistente da Georg Wilhelm Pabst e poi da Luis Buñuel, comincia una collaborazione con Jean Renoir che durerà fino alla guerra.

 

Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

 

LA SCELTA DEL FOTO-REPORTAGE

Nel febbraio del 1947, Cartier-Bresson inaugura la sua prima grande retrospettiva istituzionale al Museum of Modern Art (MoMA) di New York. Qualche mese dopo, insieme a Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert, fonda l’agenzia Magnum che in breve diverrà uno dei riferimenti mondiali per il fotoreportage di qualità. Dopo la mostra al MoMA, Cartier-Bresson avrebbe potuto scegliere di essere semplicemente artista. Ma decide di diventare un reporter a pieno titolo, impegnandosi nell’avventura della Magnum. Dal 1947 e fino agli inizi del 1970, si susseguono viaggi e reportage ai quattro angoli del mondo, lavorando per quasi tutti i grandi giornali illustrati internazionali. Nonostante i vincoli della carta stampata, i tempi strettissimi del sistema mediatico e la contingenza degli incarichi, Cartier-Bresson riuscirà, comunque, a mantenere la propria produzione fotografica ad altissimo livello.

ANTROPOLOGIA VISIVA

In concomitanza con i reportage, Cartier-Bresson ha anche periodicamente fotografato alcuni soggetti particolari, nei vari paesi e nel corso degli anni. Realizzate al margine dei suoi reportage, o in modo del tutto autonomo, queste serie di immagini che si interrogano su alcune grandi questioni sociali della seconda metà del Novecento, assumono il valore di vere e proprie inchieste. Non sono state commissionate, non sono state realizzate con l’urgenza imposta dalla carta stampata e sono spesso più ambiziose. Tali inchieste, tematiche e trasversali, descritte da Cartier-Bresson stesso come una “combinazione di reportage, filosofia e analisi (sociale, psicologica e altro)” sono legate all’antropologia visiva. Quel tipo di conoscenza dell’uomo in cui gli strumenti di registrazione analogica svolgono un ruolo essenziale. “Sono visivo – diceva, tra l’altro, Cartier Bresson – […]. Osservo, osservo, osservo. È con gli occhi che capisco”.

 

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DOPO LA FOTOGRAFIA

Dagli anni Settanta, Cartier-Bresson, che ha ormai superato i sessanta anni, smette poco per volta di accettare i reportage, cioè di fotografare in un contesto obbligato. Ritenendo che la Magnum si allontani giorno dopo giorno dallo spirito con cui era stata creata, si ritira dall’agenzia. La sua fama internazionale non ha mai cessato di crescere: è diventato una leggenda vivente. In Francia incarna, quasi da solo, il riconoscimento istituzionale della fotografia. Il che non è ovviamente di suo gradimento. Passa molto tempo a supervisionare l’organizzazione dei suoi archivi, la vendita delle fotografie e l’organizzazione di libri o mostre. Pur avendo ufficialmente smesso di fotografare, tiene sempre la sua Leica a portata di mano e di tanto in tanto realizza immagini più contemplative. Ma va soprattutto nei musei o alle mostre e passa la maggior parte del tempo a disegnare.

 

La grande esposizione, realizzata dal Centre Pompidou di Parigi in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson, è promossa da Roma Capitale Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e prodotta da Contrasto e Zètema Progetto Cultura e viene presentata a dieci anni esatti dalla morte di Henri Cartier-Bresson.

 

InfoMuseo dell’Ara Pacis

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