VENEZIA. Si intitola “Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo” la mostra con fotografie di Ferdinando Scianna frutto del lavoro fotografico realizzato su incarico di Fondazione di Venezia e in mostra a Casa dei Tre Oci.

 

Ferdinando Scianna, Cena di Shabbat nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch © Ferdinando Scianna / Magnum Photos
Ferdinando Scianna, Cena di Shabbat nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch © Ferdinando Scianna / Magnum Photos

 

Il lavoro di Scianna, realizzato appositamente per Casa dei Tre Oci in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia, rimarrà esposto fino a gennaio 2017.

 

Ferdinando Scianna, Preghiera del mattino nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch / Morning prayer at the seat of the Chabad-Lubavitch movement © Ferdinando Scianna / Magnum Photos
Ferdinando Scianna, Preghiera del mattino nella sede del gruppo Chabad-Lubavitch / Morning prayer at the seat of the Chabad-Lubavitch movement © Ferdinando Scianna / Magnum Photos

 

 

IL PROGETTO. In occasione dei 500 anni della nascita del Ghetto ebraico di Venezia (formatosi il 29 marzo 1516), la Fondazione di Venezia ha deciso di avviare una ricognizione fotografica con l’obiettivo di raccontare la dimensione contemporanea del Ghetto. Il progetto espositivo è realizzato da Civita Tre Venezie.

 

 

Scianna ha realizzato un reportage fotografico in pieno stile street photography, raccogliendo immagini inerenti la vita quotidiana del Ghetto, senza tralasciare ritratti, architetture, interni di case e luoghi di preghiera. Chiese, ristoranti, campi, gondole sono i soggetti che animano il panorama visivo del progetto. Da segnalare, in questa narrazione, la compresenza di una dimensione simbolica, storica, rituale, intrinsecamente connessa a luoghi e gesti, e una semplicità nella descrizione di un tempo presente e ordinario.

 

Ferdinando Scianna, Signore vestite a festa per Shabbat © Ferdinando Scianna / Magnum Photos
Ferdinando Scianna, Signore vestite a festa per Shabbat © Ferdinando Scianna / Magnum Photos

 

Ferdinando Scianna – osserva il curatore Denis Curtiha saputo costruire un racconto delicato […]. Ha dato forma a una memoria collettiva elevando e distinguendo singole storie: se ne avverte la bellezza e la solennità. […] Il dolore mai urlato dell’Olocausto. Le pietre d’inciampo e i segni di una vicenda destinata a restare indelebile. […] Dentro queste fotografie ci si orienta. I punti cardinali si fanno abbraccio e segnano le linee di una confidenza visiva capace di entrare nei confini dell’intimità dei molti ritratti che compongono il complesso mosaico di questa esperienza: è il linguaggio degli affetti, è la grammatica dei corpi”.