ROMA. “Ashura” è il titolo della mostra di Claudia Borgia che dal 10 al 28 maggio sarà in mostra all’Antropomorpha Fotografia.
La linea guida di questo viaggio è la ricerca della verità. Il viaggio è la vita. La tappa cui questa nota si riferisce, fa parte di un progetto di studio sulla devozione della donna islamica. Ho scelto come punto di partenza il martirio dell’Imam Hossein, nipote del Profeta Maometto, perché fu sua sorella, Hazrat-e Zeynab, a farsi carico di dire la verità su tale tragedia.
Si racconta che il 10 del mese lunare Muharram, nell’anno 61 dell’Egira (10 ottobre 680 d.C.) l’Imam Hossein e 72 compagni sacrificarono la loro vita per difendere la religione di Dio, la giustizia, la libertà e per combattere la tirannia di Yazid, della dinastia degli Omayyadi, divenuto ingiustamente califfo. Secondo la tradizione, l’Imam Hossein e i suoi compagni furono brutalmente uccisi nel deserto di Karbala, nel giorno dell’Ashura (dall’arabo “dieci”). Da allora, tutti gli anni, il mondo islamico sciita entra in un periodo di lutto che termina dopo 40 giorni, con il pellegrinaggio dell’Arbaeen (dall’arabo “quaranta”), che Hazrat-e Zeynab e tutti gli altri superstiti della battaglia, fecero alla tomba dell’Imam a Karbala (Iraq).
I segni del lutto coprono intere città e piccoli villaggi. I riti funebri avvengono per lo più all’aperto, ma nel privato di ogni famiglia i momenti di cordoglio si accavallano alle celebrazioni comuni. Donne e uomini si riuniscono, separatamente, per pregare nelle Hosseiniyeh (edifici permanenti o temporanei, di tradizione safavide, costruiti per eseguire le cerimonie di lutto per l’Imam Hossein e altri martiri sciiti), oppure organizzano celebrazioni nelle loro case, sfilano nelle processioni vestendo i panni dei protagonisti del martirio, si battono il petto o la testa con la mano, o si colpiscono le spalle con delle catene compiendo il rito di autoflagellazione.
Un grande impulso per lo sviluppo delle celebrazioni dell’Ashura come fenomeno religioso, popolare e artistico è venuto con l’ascesa dei Safavidi (1501 – 1736) al potere. E’ stato durante il loro dominio che il genere teatrale drammatico, conosciuto come Ta’ziyeh, si è sviluppato ed è divenuto popolare. Nella passione rappresentata nei teatri all’aperto o nelle Hosseiniyeh, gli attori interpretano i vari personaggi dell’Ashura e ricreano il martirio dell’Imam Hossein. La particolarità è che, durante le scene di lotta, gli uomini interpretano anche i ruoli delle donne, ma con il viso coperto, per obbedire alla regola islamica secondo la quale non è ammesso il contatto tra uomini e donne che non siamo sposati.
Testimone del martirio dall’alto di una collina del deserto di Karbala, località del Basso Iraq, Hazrat-e Zeynab venne fatta prigioniera e portata al palazzo del Califfo Yazid, a Damasco. Fu qui che tenne due discorsi nei quali svelò la verità sul massacro dell’Imam Hossein e dei suoi compagni e risvegliò le persone ipnotizzate dalla falsa propaganda di Yazid, che voleva far passare Hossein come un ribelle. Si dice che se non fosse stato per Hazrat-e Zeynab, il tragico evento di Karbala sarebbe stato dimenticato e i messaggi dell’Ashura, di verità e giustizia, per citarne solo due, non sarebbero stati tramandati di generazione in generazione. Oggi, ieri e ogni anno, milioni di pellegrini calpestano lo stesso suolo sul quale ha camminato Hazrat-e Zeynab prima come prigioniera e poi come donna libera, custode della verità.
Ho avuto il privilegio, raro, di potervi partecipare. Ho camminato accanto alle donne iraniane che conoscevo e ho incrociato gli sguardi, le mani e i sorrisi delle donne irachene. Alcune di loro erano in pellegrinaggio come noi, altre, non potendo andare a Karbala, assistevano i pellegrini in cammino: anche questo è un modo per “conquistarsi un pezzo di paradiso”.
Claudia Borgia nasce a Roma nel 1975. L’aria rivoluzionaria degli anni ’70 cova dentro di se per molto tempo, troppo secondo lei, perché è solo nel 2009 che molla tutto e decide di dedicarsi alla fotografia. Abbandona l’amata carrozzeria di famiglia e il lavoro da perito assicurativo, si rilegge la tesi sul diritto d’asilo discussa alla Facoltà di Scienze Politiche alla Sapienza e cerca un connubio tra la passione per la storia contemporanea, il desiderio di esserne testimone e la fotografia. Sceglie di imparare frequentando la Scuola Permanente di Fotografia Graffiti, seguendo vari workshop e iscrivendosi al master in fotogiornalismo dell’ISFCI. Decide di documentare la realtà che la circonda, ma anche il resto del mondo, ove possibile, con la curiosità innocente di chi vuole arricchirsi e arricchire chi guarda le sue foto. Predilige le storie di donne, nelle quali si cerca, e i progetti a lungo termine, perché le consentono di acquisire il maggior numero di informazioni utili alla costruzione di un reportage profondo e dettagliato.
Oggi è una freelance. Ha pubblicato sul settimanale A il reportage “Indecorose e libere”, un’indagine sulle femministe romane. Altri progetti e news sono stati pubblicati su: The Guardian, Huffington Post, Kristeligt Dagblad (DK) e altre piccole testate straniere. Nel 2013 è stata selezionata per l’8° edizione del concorso Female in March, organizzato da Officine Fotografiche, è arrivata terza nel concorso fotografico dedicato al foto-giornalista dell’Ansa Rolando Fava e seconda a Fotoleggendo. Nel 2014 è stata sezionata per la 9° edizione del concorso Female in March organizzato da Officine Fotografiche.