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© Annalisa Natali Murri/CAPTA
“THE BLACK LINE”
A più di ottant'anni dal famigerato "massacro di prezzemolo", quando quasi 30.000 haitiani furono brutalmente massacrati dalle forze militari dominicane solo per motivi di odio razziale, il confine tra Haiti e Repubblica Dominicana è ancora segnato dall'ombra della violenza e della stigmatizzazione. Il genocidio del 1937 ha irrevocabilmente allargato lo iato tra i due paesi e, come effetto a lungo termine, ha radicalizzato un profondo sentimento anti-haitiano in tutta la Repubblica Dominicana, che a sua volta ha provocato episodi di violenza contro gli haitiani legalmente residenti nell'altra metà dell’isola di Hispaniola.
© Annalisa Natali Murri/CAPTA
“THE BLACK LINE” 2 -
L'istituzionalizzazione di questo sentimento anti-haitiano e del relativo "stigma del nero" culminò nel 2013, quando una sentenza del Tribunale Costituzionale dominicano revocò retroattivamente la cittadinanza a tutte le persone nate da genitori stranieri dal 1929, violando la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti umani e la creazione di un'intera classe di apolidi: quasi 200.000 dominicani di origine haitiana furono considerati illegalmente residenti in R.D. e molti furono forzosamente deportati ad Haiti.
© Annalisa Natali Murri/CAPTA
“THE BLACK LINE” 3 -
Questo recente tipo di violenza nei confronti di Haiti e dei suoi abitanti dalla pelle scura si sta quindi configurando come una sorta di pulizia etnica legalizzata, che replica con strumenti giudiziari ciò che in passato fu fatto con i machete.

© Antonio Faccilongo/Getty Reportage
"HABIBI" -
Habibi è il racconto di una storia d'amore ambientata nel mezzo di uno dei conflitti contemporanei più lunghi e complicati, la guerra israelo-palestinese.
Le mogli dei prigionieri politici palestinesi, i quali stanno scontando condanne a lungo termine nelle carceri israeliane, per concepire nuovi figli, sono ricorse al contrabbando dalle prigioni dello sperma dei loro cari. Dal 2014, secondo la clinica per la fertilità Razan di Nablus, sono nati circa 90 bambini. L’inseminazione in vitro è offerta gratuitamente a queste donne poiché i loro mariti sono considerati dalla collettività come dei martiri viventi, i quali hanno rinunciato alla loro libertà per la patria. Sono circa 7.000 i detenuti politici palestinesi, e quasi 1.000 di questi hanno una condanna che supera i 25 anni. 
© Antonio Faccilongo/Getty Reportage
"HABIBI" 2 - Le visite coniugali sono totalmente negate e i prigionieri palestinesi possono vedere i loro familiari più stretti solo attraverso una finestra di vetro. Il contatto fisico è vietato, c’è solo un’eccezione. Ai figli dei detenuti di età inferiore ai 6 anni è concesso un incontro di 10 minuti alla fine di ogni visita, nella quale possono abbracciare i loro padri. In questa occasione, con la scusa di offrire dei regali ai propri figli, i prigionieri inseriscono all'interno di barrette di cioccolato delle provette di fortuna con il loro liquido seminale. Questo è uno dei metodi più utilizzati dai prigionieri per poter avere dei nuovi figli e forse una delle poche speranze di avere una famiglia per le loro mogli.
Le vite di queste donne sono sospese in un'eterna attesa del ritorno dei loro mariti. Infatti uno dei principali motivi che spinge queste donne a fare l’inseminazione in vitro è la volontà a non arrendersi alla condizione di prigionia dei loro mariti e ad affrontare coraggiosamente le difficoltà della vita quotidiana allevando i loro figli da sole in una zona di guerra e molto instabile. 
© Antonio Faccilongo/Getty Reportage
"HABIBI" 3 -
Quest'area troppo spesso viene mostrata solo come un luogo di guerra e conflitto, pieno di contrasto, soldati, azioni militari e armi. Habibi, che in arabo significa "ti amo", mostra l'impatto del conflitto sulle famiglie palestinesi, cercando di comprendere una realtà nascosta dietro la guerra e analizzando le difficoltà che questo popolo incontra nel preservare la propria dignità umana. 
© Diego Ibarra Sanchez
“HIJACKED EDUCATION” - Hijacked Education è un progetto fotodocumentaristico con l’obiettivo di formulare una dichiarazione sia personale che universale che mostri come violenza, estremismo, intolleranza e paura stiano spazzando via il futuro di un’intera generazione di migliaia di bambini in paesi come Pakistan, Afghanistan, Iraq, Ucraina, Siria, Libano, Colombia e Nigeria.
© Diego Ibarra Sanchez
“HIJACKED EDUCATION”
2 - Ci sono scuole distrutte e abbandonate: sono gli altari privi di forma dell’apprendimento andato perduto. Ci sono insegnanti e studenti in esilio, bambini soldato, istruzione patriottica; un’istruzione rapita e violentata. Ci sono libri bruciati, fotografie sparse al suolo, identità perdute e rubate. Ci sono classi deserte, banchi impilati, accatastati, occultati dall’abisso dell’ignoranza.
© Diego Ibarra Sanchez
“HIJACKED EDUCATION” 3 - La guerra non finisce con l’ultima pallottola, o con l’ultimo bossolo vuoto, o quando la bandiera viene alzata. L’iceberg della battaglia rimbomba e sfocato espande l’orizzonte. Le ferite aperte della guerra inscrivono con il sangue il futuro di milioni di ragazzi.
© Diego Ibarra Sanchez
“HIJACKED EDUCATION”
4 - La violenza penetra nei paesi confinanti che caoticamente assorbono una generazione destinata a crescere in esilio.
Servi della gleba, sovraffollamento dei campi, la crescita di milioni di bambini protetta dall’ostracismo.
Il tempo, una bomba ad orologeria, stagna nell’esilio e macchia le pagine dei calendari scolastici che non ritorneranno mai più.
© Giulio Piscitelli/Emergency
“ZAKHEM”- Nel 2018 Giulio Piscitelli ha visitato i Centri chirurgici per vittime di guerra di EMERGENCY a Kabul e Lashkar Gah, in Afghanistan.
Ha incontrato le vittime di una guerra che continua da oltre 18 anni nell’indifferenza dell’opinione pubblica. Ha dato loro un volto, un nome, ha scoperto le loro storie.
Storie che parlano di una violenza che irrompe nella vita quotidiana, senza preavviso. Storie che mostrano la ferita – zakhem, si dice in dari – provocata dalla guerra.
© Giulio Piscitelli/Emergency
“ZAKHEM” 2 - Le ferite causate dai proiettili e dalle schegge vengono messe al centro del racconto fotografico, perché la guerra, in fin dei conti, parte da lì. Si vedono, però, anche le ferite più profonde, la paura e l’esasperazione che non ti abbandonano mai, ma che devi imparare a controllare, mentre il resto del mondo sembra all’oscuro di tutto.
© Giulio Piscitelli/Emergency
“ZAKHEM” 3 - Giulio Piscitelli mostra la forza del popolo afgano, i suoi scatti trasportano i soggetti in un mondo quasi irreale, illuminato, in una fissità senza tempo né spazio, nella verità della guerra di sempre e ovunque.
Il suo lavoro ha reso queste ferite comprensibili, semplici, potenti ed eloquenti.
Zakhem è una storia che tutti possono capire.
© Laura Liverani/Prospekt Photographers
“JAPAN POM POM & OTHER STORIES ” - Ragazze pom pom anziane, una scuola per modelle senior, lottatrici di sumo; operai edili di Tobi, surfisti di Fukushima e fan delle tutine in spandex. Sei serie separate ritraggono differenti comunità del Giappone contemporaneo. Le donne e gli uomini di ogni comunità ritratti, nonostante la distanza, condividono un forte senso identitario di appartenenza al gruppo. Senso identitario che viene scelto e attivamente portato avanti nelle attività della vita quotidiana.
© Laura Liverani/Prospekt Photographers
“JAPAN POM POM & OTHER STORIES ” 2 - Sia le modelle che le ragazze pom pom senior si oppongono agli stereotipi legati all’età, che prescriverebbero alle donne più anziane di indossare solo ciò che viene considerato appropriato, mentre le lottatrici di sumo sfidano l’idea dominante di femminilità e ruoli di genere. D’altro canto i Tobi-shokunin, operai specializzati nell’ edilizia, con il loro distintivo stile cool rinforzano i cliché di mascolinità all’interno di una comunità tradizionalmente chiusa ed orgogliosa che risale al periodo Edo.
© Laura Liverani/Prospekt Photographers
“JAPAN POM POM & OTHER STORIES ” 3 - Indossare lo spandex non è semplicemente una questione di stile per la più recente subcultura Zentai: sentirsi invisibile è uno degli effetti riferiti della lycra attillata che va a coprire volto e corpo. Garantendo l’anonimato, un costume in spandex può alleviare la pressione di conformarsi alle rigide regole della società giapponese. L’identità scelta dagli Zentai è in qualche modo una non-identità. L’ultimo e più recente capitolo è dedicato ai surfisti di Fukushima, le cui spiagge hanno recentemente riguadagnato la loro popolarità come miglior punto per il surf in Giappone. 
© Marta Bortoli/Parallelozero
“BLUE IS THE COLOR OF THE SKY” - Gloriavale è una comunità cristiana altamente conservatrice, formata da 600 membri che vivono in una zona remota nella parte occidentale dell’isola meridionale della Nuova Zelanda. I membri sono caratterizzati dall’abbigliamento blu e da uno stile di vita molto frugale.
Gloriavale è stata fondata da un prete evangelista con il desiderio di vedere la parola di Dio non solo predicata, ma soprattutto messa in pratica in maniera letterale. L’uso di misure anticoncezionali è vietato e i matrimoni sono parzialmente combinati. Di conseguenza, la comunità fa registrare un tasso di crescita demografica fra i più alti al mondo: è consuetudine che una donna di Gloriavale dia alla luce più di dieci figli, con l’aiuto delle due ostetriche che risiedono nella comunità. 
© Marta Bortoli/Parallelozero
“BLUE IS THE COLOR OF THE SKY” 2 - Le relazioni col resto della popolazione sono ridotte al minimo: si tratta perlopiù di rapporti commerciali, data la grande varietà di merci che vengono prodotte e vendute, dal latte al cibo per animali, fino ai prodotti cosmetici.
I membri di Gloriavale non percepiscono un salario: i profitti delle varie attività lavorative vengono investiti per rifornire la comunità di tutto il necessario. L’amministrazione fa capo agli uomini, che vengono divisi in due categorie – pastori e servitori – e sono gli unici responsabili della sua gestione. 
© Marta Bortoli/Parallelozero
“BLUE IS THE COLOR OF THE SKY” 3 - I membri si ispirano a una rigida etica lavorativa, che li spinge a lavorare una media di dieci ore al giorno: alle donne, spesso in dolce attesa o impegnate ad allattare, sono riservati compiti meno gravosi in cucina e in lavanderia. I membri di Gloriavale hanno diritto a una settimana di riposo l’anno, da trascorrere in una delle strutture che la comunità̀ possiede. Le persone risiedono in ostelli e non è raro che la stessa stanza sia condivisa da dieci o più fratelli.
Gli abitanti di Gloriavale vivono una vita di sacrifici, con la speranza di trascorrere l’eternità in Paradiso. Qualsiasi persona può decidere di unirsi alla comunità dopo un periodo di prova.
© Miguel Candela/CAPTA
“HONG KONG NEVER SURRENDER” - Hong Kong è stata sconvolta dalla protesta di centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato contro la legge di estradizione che avrebbe consentito il passaggio ‘automatico’ di sospettati da Hong Kong alla Cina continentale. 
© Miguel Candela/CAPTA
“HONG KONG NEVER SURRENDER” 2 - Gli abitanti di Hong Kong temono che la nuova legge possa essere usata dalle autorità per colpire i nemici politici e questo potrebbe significare la fine dell’autonomia (“one country, two systems”). 
© Miguel Candela/CAPTA
“HONG KONG NEVER SURRENDER” 3 - Anche se l'amministratore delegato, Carrie Lam, ha sospeso la legge e dichiarato che l’estradizione non è più un tema sul tavolo delle trattative, le proteste continuano e gli sviluppi rimangono incerti. 
© Miguel Candela/CAPTA
“HONG KONG NEVER SURRENDER” 4 - La frustrazione tra i manifestanti è grande. Ad oggi le azioni di protesta proseguono, ne sono esempio l’assalto al consiglio legislativo e i continui scontri con la polizia.
©Nadia Shira Cohen
“YO NO DI A LUZ” - Le donne in gravidanza nell’El Salvador contemporaneo affrontano una serie di sfide, dalla costante minaccia delle gang all’estrema povertà.
Molte di loro sono vittime di stupro, frequentemente associato ai riti di iniziazione delle gang e all’alto livello di incesto. L’età di queste donne è spesso compresa tra i 10 e i 14 anni.
Tuttavia, la minaccia più grave ai diritti riproduttivi delle donne è di gran lunga il veto governativo sull’aborto. Da quando il veto assoluto sull’aborto è entrato in vigore in El Salvador nel 1998, 150 donne sono state condannate. 
©Nadia Shira Cohen
“YO NO DI A LUZ” 2 - Medici e infermieri degli ospedali pubblici sono costretti per legge a segnalare ogni emorragia sospetta alle autorità, provocando accuse penali che possono portare ad una detenzione tra i 6 mesi e i 7 anni. È la classe delle donne più indigenti a risentirne maggiormente, poiché al personale degli ospedali privati non è richiesto di fornire questo tipo di informazione. 
©Nadia Shira Cohen
“YO NO DI A LUZ” 3 - Alcune donne affrontano perfino sentenze che arrivano ai 40 anni di carcere per ciò che, di fatto, sono parti di feti già morti. Sono conosciute come le “mata ninos”, circa 20 donne detenute e condannate dai 30 ai 50 anni, con accusa di omicidio, per aver presumibilmente ucciso i loro neonati. La magistratura si oppone alla natura della scienza, accusando le donne di partorire volontariamente bambini prematuri, creando una situazione in cui queste sono perseguite meramente per i naturali cedimenti del proprio corpo.
© Raffaele Petralla/ Prospekt Photographers
“COSMODROME” - Area militare ristretta di Mezen. A 300 km da Arkhangelsk e a pochi km dal Circolo Polare Artico. In questo territorio ostile, dove i fattori climatici e ambientali rendono la vita quotidiana difficile e faticosa, gli errori di calcolo delle traiettorie dei satelliti dal Cosmodromo di Plesetsk diventano una risorsa inaspettata. A circa 1500 km a nord della base di lancio, tra le foreste e la tundra, c’è un’area popolata da una decina di villaggi. Gli abitanti di questa zona, che basano la loro sopravvivenza sulla caccia e la pesca, sono abituati a costruire gli oggetti della vita quotidiana, principalmente slitte e barche, con i frammenti raccolti dai razzi spaziali. Fanno anche affari illegali con i componenti interni come l’oro e il titanio. Le operazioni di raccolta si svolgono durante l’inverno, quando i letti dei fiumi si ghiacciano e si trasformano in strade più facilmente percorribili con slitte e macchine. 
© Raffaele Petralla/ Prospekt Photographers
“COSMODROME” 2 - Prima del crollo dell’Unione Sovietica, la base spaziale più importante era Bajkonour, ora appartenente al Kazakistan indipendente: dopo la seconda metà degli anni ’90, la Russia ha aumentato i lanci dalla base di Plesetsk per evitare di pagare l’affitto al Kazakistan. Per molti anni questo poligono di lancio è stato tenuto segreto. Solo nel 1983 il Cosmodromo è stato menzionato ufficialmente per la prima volta nella stampa nazionale dell’URSS.
Da Plesetsk molti dei satelliti di navigazione, i satelliti metereologici e la maggior parte dei satelliti militari vengono lanciati per una vasta serie di scopi. Dal 1997, più di 1500 lanci sono decollati da questo luogo. 
© Raffaele Petralla/ Prospekt Photographers
“COSMODROME” 3 - Al momento del lancio, ogni satellite è sostenuto da quattro razzi propulsori che, sganciandosi quando raggiungono l’orbita, alla fine cadono sulla terra: secondo le traiettorie ufficiali, i frammenti dovrebbero atterrare sulle regioni artiche perché poco popolate. In molti casi, però, colpiscono le zone più popolate del Sud.
Come propellente viene usato un componente altamente tossico chiamato dimetilidrazina asimmetrica. Secondo le testimonianze locali, molti casi di cancro si stanno verificando nella zona.