The Masterplan. Malpensa come non l’avete ancora vista

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45°37′48″N 8°43′23″E

 

Sono queste le coordinate dell’Aeroporto internazionale di Milano-Malpensa su cui il fotografo Matteo Villa si è focalizzato per il suo progetto The Masterplan, alla ricerca dell’effimera empatia tra una delle grandi opere dell’Italia e l’area circostante il sedime aeroportuale.

L’analisi fotografica verte sulla metafora ed il simbolismo per descrivere luoghi in cui l’esistenza umana risulta costretta in un pluriennale stato di decadente stasi, dovuto alla delocalizzazione della popolazione dalle abitazioni. Lo scorrere del tempo è scandito solo da un assordante ed imperterrito canto supersonico, mentre una lenta e silenziosa presenza affligge i cicli vitali dell’ecosistema del Parco del Ticino, corridoio verde nel quale, forse, non erano destinati a nidificare i giganti dell’aria.

 

 

 

[quote_box_center] “The Masterplan è un progetto a lungo termine realizzato all’incirca in due anni e mezzo ed avente come tematica l’analisi e la conseguente trasposizione fotografica della realtà che ruota attorno all’area dell’aeroporto di Milano-Malpensa. La voglia di documentare è partita dopo essere venuto a conoscenza del cosidetto “Masterplan” ossia un progetto di pianificazione territoriale ed urbanistica che avrebbe dovuto prevedere l’espansione dell’attuale sedime aeroportuale attraverso la realizzazione di una terza pista”. Matteo Villa [/quote_box_center]

 

 

 

 

Essendo già a conoscenza della pluriennale realtà di abbandono di diverse centinaia di abitazioni creatasi ai tempi della costruzione del secondo hub aeroportuale ‘Malpensa 2000’, della ‘paradossale intenzione’ di potersi ritrovare nella medesima situazione con altri dislocamenti e del possibile danno ambientale nella quale sarebbe potuta incorrere una vasta area del Parco Naturale della Valle del Ticino che ricordiamo essere sia importante riserva che nevralgico corridoio verde per le rotte migratorie – spiega Villa – ho deciso di concentrare il mio sguardo attorno ad un solo concetto e cioè quello di ‘Stasi’. Statica come esclusione dell’uomo dagli ambienti famigliari, statico come il silenzio irreale che si può percepire camminando all’interno di questi involucri di cemento vuoti, statica come come la consapevolezza invisibile di un disagio che lentamente si fa strada nei corpi delle persone che vivono in questi luoghi e nella natura silenziosa dei giardini che avanza inglobando vetri e mattoni quasi a voler ‘coprire per aiutare a dimenticare più facilmente‘”.

 

 

 

 

Per realizzare questo progetto, spiega Villa, “ho camminato per questi luoghi consumati dalle stagioni, dal vandalismo, dall’occupazione abusiva di poveri disperati e luogo di ritrovo di un’attenta e celata delinquenza, con la sensazione di impotenza di un tardivo testimone. Ho visto i muri scrostarsi con la pioggia, ho ascoltato la voce tristemente rassegnata degli abitanti, ho visto nella nebbia notturna bestie alate o forse astronavi far vibrare i timpani con la maniacale cadenza del tempo e poi nuovamente il silenzio. Ho voluto dar voce ai miei occhi per andare al di la della notizia e dell’indignazione“.

L’intento è stato quello di “scavare a fondo con un’attrezzatura diversa ‘dalla penna e dalla ruspa’ optando per un linguaggio visivo diverso, intriso di metafora e simbolismo, al fine di raccontare la storia di una piccola area del Nord d’Italia che tanto rispecchia le numerose altre situazioni, appunto ‘statiche’, esistenti nel nostro PaeseIl mio ‘Masterplan’, porta insito nel suo significato letterale una ben diversa e più ironicamente amara consapevolezza della realtà, ossia che la grande macchina del sistema ancora una volta ha attanagliato con stretta dirompente la vita della gente comune”.

 

 

 


 

Matteo Villa è un fotografo freelance, nato nell’85, che vive in una piccola città vicino a Milano. Dopo aver frequentato l’Accademia John Kaverdash, conseguendo un Master Globale di Fotografia Professionale, si è specializzato in visual storytelling studiando presso la Luz Academy. Il suo concetto di fotografia non è vincolato ad una sola direzione narrativa difatti, sperimenta diversi tipi di linguaggi visivi per raccontare storie, sulla base delle proprie sensazioni.

 

 

 

The Mammoth's Reflex
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