“Lettere dal Cie”. S’intitola così il progetto di Mario Badagliacca dedicato ai Cie, i centri di identificazione ed espulsione dove tutti gli stranieri non in regola con i documenti di soggiorno vengono rinchiusi per essere identificati ed espulsi. Un progetto che che abbiamo visto e selezionato su myphotoportal.com.
Per i governi europei l’unica risposta plausibile in merito alla gestione dei flussi migratori sembra essere quella militare. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un proliferare di terre di nessuno lungo le frontiere dell’Europa, filo spinato, soldati, cani e fanali nella notte. Anche l’Italia ha un suo fronte interno e sta conducendo la sua “battaglia” contro i migranti attraverso i centri di identificazione ed espulsione. “Da quando ho iniziato il lavoro sui Cie, circa quattro anni fa – racconta Mario Badagliacca- la situazione in Europa e in Italia sembra essere peggiorata. In Europa sono ricomparsi i muri che dividono, e il governo italiano ha appena aperto gli ‘hotspot’, delle strutture dove i migranti appena arrivati saranno identificati. Essi dovranno così accettare a tutti i costi di rimanere in Italia come previsto dalla Convenzione di Dublino se gli verrà concesso l’asilo politico. Se invece saranno identificati come “migranti economici” oppure si rifiuteranno di rilasciare le impronte digitali verranno condotti nei Cie e poi espulsi”. Questo sistema perverso di costante violazione dei diritti umani produce anche delle situazioni molto ambigue.
“Ad esempio molte delle persone recluse sono ragazzi nati e cresciuti in Italia da genitori stranieri. Fino ai 18 anni sono legati al permesso di soggiorno dei genitori, ma dopo la maggiore età devono trovare un modo per avere il permesso di soggiorno, connesso al mercato del lavoro. Stiamo parlando di ragazzi che a volte non sono mai stati nel paese di origine dei genitori né parlano la lingua, appunto sono nati e cresciuti in Italia. Eppure finiscono nei Cie, dove passano mesi infernali e poi espulsi se non vincono il ricorso. Oppure è alto il numero di famiglie divise, perché magari uno dei genitori non riesce a rinnovare il permesso di soggiorno (dopo anni che vive e lavora in Italia), e vengono rimpatriati. Ma magari il partner e i figli piccoli rimangono in Italia. Questo è il caso di M., citato nella foto della lettera del figlio Bashir. Due giorni dopo aver scattato quella foto M. è stato rimpatriato in Algeria, e tuttora dopo un anno si trova lì“.
IL PROGETTO. “Lettere dal Cie” cerca di analizzare i fenomeni legati alla detenzione in questi luoghi. Attualmente è stato prodotto un fotoreportage e un corto multimediale che ha al centro la storia di Lassaad Jelassi. Infatti Lassaad vive in Italia da 25 anni. Dopo aver avuto problemi con il permesso di soggiorno è stato rinchiuso per 4 mesi nel CIE di Roma Ponte Galeria. Alla fine Lassaad ha vinto il ricorso giuridico ed è stato rilasciato, e attualmente lavora come mediatore culturale in un centro per minori stranieri a Roma. Ma Lassaad si porterà dietro per tutta la vita il trauma legato al trattenimento forzato a Ponte Galeria.
“Lettere dal Cie” è volto a raccontare la vita quotidiana all’interno dei centri. Lo scopo del video e del fotoreportage non è quello di fornire dettagli tecnici ma quello di far compiere allo spettatore un percorso all’interno dei Cie, guidato dalla voce di Lassaad e dal suo racconto sulla quotidianità di quei 4 mesi infernali passati a Ponte Galeria. Non si vuole informare lo spettatore su un fatto di cronaca, ma fare in modo che esso si ponga delle domande su questo sistema. “Anche io – racconta Mario Badagliacca – mi sono chiesto fin dall’inizio come fosse la vita quotidiana nei Cie, quali le dinamiche tra i detenuti, quali quelle di genere, quali le forme di resistenza messe in atto per sopportare condizioni così disumane, e quali fossero i rapporti con lo staff interno e le forze dell’ordine. Per questo motivo Lassaad è stato coinvolto in maniera attiva fin dall’inizio per il lavoro di stesura della sceneggiatura del multimedia, basata sulla sua testimonianza e su fatti realmente accaduti. Questo gli ha dato la possibilità di metabolizzare in parte la sua storia, trovare il modo di raccontarla e trovare anche degli interlocutori pronti ad ascoltarlo. Per rendere l’esperienza dello spettatore ancora più intensa si è scelto di utilizzare i suoni originali registrati all’interno del Cie di Roma”.
La produzione del video si è svolta tra Roma Ponte Galeria e Bari Palese. È stato un percorso lungo e non semplice, durato quasi 4 anni a causa delle autorizzazioni necessarie all’ingresso nei centri e alle situazioni che si creavano ogni volta all’interno. “Durante le visite ero in costante supervisione da parte delle forze dell’ordine, soprattutto all’interno del Cie di Bari Palese. Gli accrediti sono arrivati sempre a singhiozzo e gli ingressi consessi sono stati veramente pochi. Per altri Cie, come quello di Torino, le autorizzazioni non sono mai arrivate”.
La cosa che ha colpito di più il fotografo all’interno dei Cie è stato la sensazione di disorientamento. “La prima volta che entrai a Ponte Galeria non riuscivo più a trovare dei punti di riferimento mentali e immaginari che mi dessero la possibilità di spiegare a me stesso il luogo che stavo visitando. Vedere delle persone dentro gabbie a cielo aperto, il sistema di varchi e cancelli, mi ha riportato subito a pensare ai Cie come a dei campi di internamento nel cuore delle città italiane. Questo disorientamento colpisce ancora di più i detenuti che non riescono a spiegarsi la ragione del loro trattenimento, a differenza di un normale detenuto nelle carceri che comprende di essere lì perché ha commesso un reato. Eppure anche la legge italiana è molto ambigua in questo, perché non li considera come detenuti, e ufficialmente vengono chiamati ospiti”.
Mario Badagliacca è nato a Palermo nel 1980. E’ laureato in Scienze internazionali e diplomatiche all’Università L’Orientale di Napoli. Durante i suoi studi ha collaborato con diverse associazioni non profit. Nel 2012 si è diplomato in fotografia documentaria e fotogiornalismo a Roma, dove attualmente risiede. Focalizzato su tematiche sociali e politiche, lavora su progetti sulle comunità migranti in Italia, ponendo l’attenzione agli aspetti culturali delle migrazioni. Collabora con ricercatori e università in Italia e all’estero (tra le quali la St. Andrews University, L’Orientale di Napoli, University of Oxford) e le sue fotografie sono state pubblicate dai maggiori quotidiani e magazine italiani e stranieri. Attualmente collabora con il progetto “Transnationalizing Modern Languages” supportato dall’Humanities Research Council del Regno Unito, e sta sviluppando un lavoro sulle emigrazioni italiane tra Londra, New york e Buenos Aires.