MESTRE. Il Centro Culturale Candiani, per il giorno della memoria, nella sala espositiva Paolo Costantini, ospiterà fino al 1° febbraio “Sintomi – Ritorni” personale fotografica di Claude Andreini, con oltre 70 immagini che raccontano la ricerca personale svolta dall’artista nel campo di concentramento di Auschwitz e la città ghetto di Therezin.
Claude Andreini nasce nel 1950 in Belgio (a Liegi) da genitori toscani. A diciassette anni è coinvolto dalla scultura, che inizia a praticare, ma che poi sospende, diplomandosi in Educazione Fisica e Biologia. Nel 1971 è in Algeria, insegna per due anni nella Cooperazione Internazionale e scopre la fotografia. Di ritorno in Belgio, comincia gli studi in fisioterapia e simultaneamente, nel 1976, l’Accademia di Liegi gli concede di inserirsi nel terzo anno del corso di scultura con Maddy Andrien, scultore di fama internazionale. Nel 1980 lavora in Spagna e nel 1981, emigra in Italia. Dal 1985 vive e lavora come fisioterapista a Boldara, comune di Gruaro in provincia di Venezia. Dal 1989, studia fotografia presso la Scuola Internazionale di Fotografia ad Arles, nell’ambito del noto Festival dove ha seguito corsi con fotografi maestri tra i quali Arnaud Claass, Knut Marron (Premio Kodak America 1994), Lucien Clergues, Claude Lemagny, Ralf Gibson, Michel Milovanoff e altri. In Italia, ha seguito l’insegnamento tra i quali con Gianni Berengo Gardin e Gabriele Basilico. Molte le mostre personali, collettive, pubblicazioni di Claude Andreini, in Italia e nel mondo, tra cui l’inserimento di alcune sue opere da parte di Claude Lemagny alla “Bibliothèque Nationale de France” a Parigi.
“Sintomi” è un lento e palpabile susseguirsi di emozioni, una riflessione sulla coinvolgente ricerca dell’artista. Il percorso fotografico trasmette un messaggio vivo di presenza di persone e luoghi, che, destano sentori di irrequietezza, angoscia e a volte paura, come se si fosse presenti a tanta bestialità e come, nelle affermazioni di Andreini “si sentiva la presenza di chi c’era stato. Sono rimasto giorni, notti intere a vagare laddove c’era stato il massacro. Forse sono stato “accettato” perché nel buio della notte, presto la mattina, al momento del tramonto, quando ero solo mi sembrava spesso di percepire sagome sfuggenti, esistenze evanescenti, sussistenze di antiche figure”.
La domanda che ogni visitatore è costretto a porsi è: “Ma come si è riusciti ad arrivare a tanta inspiegabile inumana brutalità?”. Ed è questa la domanda che l’artista ha cercato di ricostruire: due sezioni in mostra, tra bianchi e neri analogici e fotografie definite “pittoriche” rielaborate nella ricercata matericità che caratterizzano le opere di Claude Andreini. Una sua personale interpretazione, per dare una dimensione più definita all’immagine e renderla unica nella riproduzione.
Il ghetto di Therezin, dal 1941 fu il maggiore campo di concentramento sul territorio dello Cecoslovacchia. Fu costruito come campo di transito per tutti gli ebrei, istituito dai nazisti dopo l’occupazione della Cecoslovacchia, diretti successivamente verso Auschwitz e altri campi. Nel periodo di funzionamento del ghetto, passarono 140.000 prigionieri, e le immagini di Andreini, cercano di penetrarlo nel nostro immaginario. Una cittadina che seppur nella morte quotidiana e continua pianificazione di arrivi e partenze, continuava nella propria ordinarietà tra percorsi educativi dei bambini – 15.000 compresi i neonati – e attività culturali. La normalità. Un vero contradditorio, in un panorama che si vede da una stanza: un paesaggio cittadino comune, tra edifici e strade. E poi, i binari e qualche costruzione con un portone chiuso. Questo rende insicuri, perché dietro a tutto questo, la nostra mente può realizzare l’immaginabile.
E poi, Auschwitz. L’ingresso, i lunghi binari, i luoghi di tortura, le camere a gas, i camini, i vagoni, tra crepuscoli e buio, non c’è più nulla da immaginare, è tutto a portata di occhio e di cuore. E’ seppur qualche presenza rieccheggia in alcune immagine, è tutto chiaro. Inspiegabile, ma successo. E tutto, nel massacro indimenticato, è finito. Ed ecco la libertà: un uccello posato su una luce spinata del campo e che, poco dopo vola via, verso la vita.
Una mostra, che insiste sul passato, ma che in fin dei conti ci rimette nel nostro presente: il continuo commettere eccidi e guerre ancora oggi in nome di diversità mai rispettate, sempre “sintomo” che l’uomo rimane il nemico di sé stesso.
“Sintomi” di Claude Andreini è anche il catalogo della mostra, disponibile in libreria Candiani o anche presso la libreria Lab di Portogruaro (Venezia).
Info: www.claudeandreini.it