Garden Misnake è il titolo della mostra fotografica di Patrizia Genovesi, attualmente esposta all’Open Studio in via di Villa Belardi a Roma.
Un racconto di immagini, installazioni visive e musica del giardino dell’Eden interpretato dalla fotografa per una mostra a cura della giornalista Loredana De Pace.
A Patrizia Genovesi abbiamo chiesto qualche informazione in più per capire le sue fotografie e il suo progetto.
Come è nato il progetto?
Il cuore della mostra nasce da un mio scritto mai pubblicato ma uscito ora con questa esposizione. Allora mi interrogavo sul significato della parola Conoscenza. Ho agganciato questa ricerca ad una storia, emblematica e simbolica, che tutti conosciamo: il giardino dell’Eden.
Si pensa che Eva, mangiando la mela, conoscerà il bene ed il male. In realtà questo concetto è un equivoco, perché Eva non poteva sapere il vero significato di conoscenza, che nel suo etimo non vuol dire semplicemente “sapere una cosa” ma “averne esperienza, aderire”.
E’ così che nasce il titolo Garden Misnake?
Sì, da questo malinteso nasce parte del titolo, Misnake. Tutta l’umanità si trova a vivere sulla propria pelle la conoscenza dell’esperienza del bene e del male nel mondo, vivendolo in prima persona e quindi sapendolo.
Il significato di Misnake è la combinazione di due parole: mistake che significa errore e snake, serpente, un neologismo coniato per la mostra diventato il titolo della stessa.
Misnake è quindi l’equivoco fondamentale da cui nasce l’esperienza del bene e del male nell’umanità.
Quindi il suo progetto...
E’ una riflessione su un piano prettamente simbolico. Non ci sono riflessioni oggettive, religiose o realistiche su questo.
A causa di questo equivoco noi siamo portati a pensare che la conoscenza del bene e del male sia legata in qualche modo al peccato. Pensiamo che il disastro nel mondo sia la conseguenza di un errore da parte dell’uomo di voler conoscere il bene ed il male.
Da questo evento, l’uomo comincia a conoscere, a fare esperienza, a decidere per sé qual’è il bene e il male, iniziando a viverlo sulla sua pelle.
Parliamo di Eva, invece.
La mia Eva parte dalla mancata conoscenza fino a diventare consapevole di cosa voglia dire per l’uomo e per tutto il pianeta, conoscere.
In tutta la mostra il discorso prende le distanze dall’assunto di base: ovvero che conoscere è male.
Eva è consapevole: lei cerca di vivere su di sé l’esperienza. Nell’ultima foto della mostra stacca la mela, che è il simbolo della conoscenza dal serpente. La conoscenza, quindi, diventa uno strumento che serve alla vita per poter essere consapevole di esserci.
Il peccato, nel suo contro, è l’uso sbagliato che si fa della conoscenza. Quindi Eva, consapevole, rimane con la mela in mano ed il serpente esce dalla scena.
L’esposizione è costruita su vari livelli visivi.
L’esposizione è costituita da fotografie che raffigurano Eva ed il serpente, il dialogo tra questi due protagonisti. Poi ci sono delle immagini che raccontano uno spazio di silenzio individuale e dell’umanità che deriva dalla conoscenza dell’uomo, scattate in un inverno norvegese.
Ci sono grandi raffigurazioni della natura che cercano di creare un atmosfera di silenzio, che ha origine dalla conoscenza del bene e del male. Infine c’è un video girato e musicato da me che racconta l’Eden nel nostro immaginario, descritto da fiori, piante e dalla natura.
Può spiegarci l’immagine che rappresenta la mostra ?
Nell’immagine vediamo Eva, che è una bambina, che non ha ancora dialogato con il serpente ma ha semplicemente preso la mela. E’ il momento dell’ingenuità, della nascita di Eva.
La copertina rappresenta l’inizio della mostra. Al centro della mostra, infatti, c’è un polittico con cinque immagini che rappresentano proprio la nascita di Eva. Poi c’è una sorta di Esedra cha abbraccia questo polittico, in cui è visibile l’inverno norvegese, il momento di riflessione e dell’umanità sulla conoscenza.
Il percorso poi, prosegue con il video, una natura in movimento che viene raccontata con i rumori, con il fruscio, con il movimento delle foglie, con il dialogo tra gli animali, molto realistico.
Sul finale altre due immagini di Eva: una fotografia dove lei è delimitata da una cornice ottocentesca dove Eva è giustapposto al serpente e la fotografia finale dove Eva rimane con la mela in mano.
Eva sembra alla ricerca di un diritto. E’ così?
In un certo senso sì. Alcune persone mi hanno chiesto perché non c’è Adamo. Nella mia interpretazione artistica e in questa mia riflessione parto dall’assunto biblico, in cui si afferma “Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina lo creò”.
Questa frase, in realtà, dice che uomo e donna sono la faccia della stessa medaglia e qui Eva ed Adamo sono la stessa cosa, simboleggiano l’umanità. Sono i due poli che consentono nella crescita della vita di creare la sintesi, sono due estremi. Sono due facce di un unico corpo.
E’ per questo che l’uomo che lotta con la donna, lotta contro sé stesso. Nella mia idea Adamo non c’è perché in realtà c’è, poiché Adamo vuol dire terra ed Eva vuol dire vita e quindi l’uomo è la sintesi della vita sulla terra, per cui è la stessa cosa.
Una fotografia di Garden Misnake a cui lei tiene particolarmente?
Una fotografia a cui tengo è la sovrapposizione di Eva con il serpente, foto inserita in una cornice ottocentesca. Eva risulta molto distaccata rispetto a sé stessa e l’immagine vuole essere molto simbolica.
La scelta di inserirla in questa cornice antica è stata voluta in parte perché la fotografia sembra un dipinto e poi perché in questo modo viene assegnata alla storia, diventa un emblema.
Collegarla ad una cornice autentica con una fattura da dipinto, fa sì che questa fotografia diventi l’interpretazione visiva dello scritto che è esposto insieme a questa foto, a conclusione della mostra. In realtà è l’origine ontologica della mostra, rappresenta la parte concettuale della mostra.