MODENA. Dal 6 marzo all’8 maggio, al Foro Boario, si terrà la mostra del vincitore del “Premio Internazionale per la Fotografia 2016“, nato collaborazione tra Fondazione Fotografia Modena e Sky Arte HD. Si tratta di un riconoscimento che sarà conferito ogni due anni a un fotografo vivente di chiara fama, che con la sua ricerca artistica abbia contribuito in maniera significativa allo sviluppo della cultura legata all’immagine contemporanea e alle sue molteplici declinazioni.
Il vincitore si scoprirà solo il 6 marzo e sarà uno di loro.
Claudia Andujar (1931, Neuchâtel, Svizzera), artista svizzera naturalizzata brasiliana che ha dedicato l’intera sua vita a documentare e dare visibilità alla comunità degli Indios Yanomami, popolazione che vive nel cuore dell’Amazzonia. Scostandosi da un mero approccio antropologico, l’artista è riuscita a cogliere la ricchezza e la profonda spiritualità della vita di queste persone, mettendo il suo lavoro fotografico a disposizione dell’importante causa per il riconoscimento e la difesa della loro comunità.
Rineke Dijkstra (1959, Sittard, Paesi Bassi), per il suo fondamentale contributo alla discussione sull’identità, tema che l’artista olandese ha indagato attraverso le diverse generazioni, dal mondo dell’infanzia a quello degli adulti, dalla dimensione privata e intima della casa alla discoteca, dall’immagine fissa al video. Il suo lavoro di oltre quindici anni è diventato un classico nella fotografia di ritratto ed è oggi un riferimento imprescindibile per chiunque si appresti a lavorare con questo genere.
Jim Goldberg (1953, New Haven, USA), per l’approccio pionieristico con cui ha declinato la fotografia documentaria e per l’importante contributo fornito alla costruzione di una storia sociale della fotografia. Fin dagli esordi Goldberg ha posto al centro del suo lavoro la relazione tra fotografo e soggetto fotografato, limitando l’autorialità dell’artista e coinvolgendo il soggetto direttamente nella produzione delle opere con testi, commenti, autoscatti, passando da quelle che sono amicizie personali, famiglia, situazioni sociali, occupandosi di gruppi marginalizzati così come questioni sociali molto calde.
Santu Mofokeng (1956, Johannesburg, Sudafrica), per il suo impegno instancabile nel testimoniare la realtà del suo Paese, raccontando la vita quotidiana dal periodo dell’Apartheid fino ai giorni nostri. Passando attraverso tematiche differenti e diversi approcci alla fotografia, ha mantenuto la questione dell’identità nera e dell’integrazione tra diverse comunità come un necessario punto focale dell’intero suo lavoro, creando un corpus di opere estremamente coerente ed esemplare per la capacità delle immagini di diventare racconti visivi.
Yasumasa Morimura (1951, Osaka, Giappone), figura chiave dell’arte internazionale che fin dagli anni Novanta ha posto il tema dell’identità al centro della sua ricerca, rivisitando le icone e i personaggi chiave del XX secolo, dalla storia dell’arte fino alla cultura pop. Il trasformismo con cui interpreta e rimette in scena nei suoi autoritratti le immagini cult del secolo scorso ha molto da dire sul nostro rapporto con la Storia e sul legame tra Oriente e Occidente.
Zanele Muholi (1972, Durban, Sudafrica), giovane attivista e artista sudafricana che ha fatto del suo lavoro una bandiera dell’affermazione e della difesa dei diritti della comunità omosessuale nera, nel suo Paese e non solo. Per Muholi la fotografia e la questione dell’identità hanno un valore altamente politico: negli anni ha costruito un archivio di ritratti capace di mappare e preservare la storia visiva della propria comunità, come testimonianza per le future generazioni.
“Il Premio per la Fotografia Internazionale non si prefigge di celebrare artisti – spiega Filippo Maggia, direttore di Fondazione Fotografia Modena e presidente di giuria del Premio – quanto di insistere sull’importanza del linguaggio delle immagine nel contemporaneo e quindi sulle ricerche che ogni due anni meglio corrispondono al tema indicato”. In questa prima edizione la discussione attorno al nome del vincitore è stata coinvolgente e appassionante. “Da una parte artisti assolutamente noti a livello internazionale, molto apprezzati e affermati – Rineke Dijkstra e Yasumasa Morimura, ad esempio – dall’altra, autori che hanno speso la loro vita a sostegno di cause importanti – come Claudia Andujar, con la sua quarantennale attività tra gli Indios Yanomami dell’Amazzonia, o Zanele Muholi con il suo impegno nella difesa dei diritti di genere in Sudafrica -; infine artisti che avevano tutte le carte in regola per potersi affermare e che contaminando la fotografia con pratiche provenienti da altre discipline – come Jim Goldberg – o essendosi sempre mantenuti indipendenti rispetto al sistema dell’arte – come Santu Mofokeng – si ponevano come outsider. Questo è stato il punto di partenza del nostro confronto”. “Da parte di tutti – prosegue Maggia – si è avvertita la responsabilità di individuare un vincitore che non solo corrispondesse al tema indicato ma che desse anche un segnale forte di ciò che questo premio vuole diventare negli anni: non un premio fra tanti, ma un esempio di qualità: il “premio alla carriera” non è mai stata un’ipotesi da noi condivisa”.