L’Imp festival di fotogiornalismo a Padova non è solo mostre di ufficiali. C’è una sezione nuova quest’anno, Imp Talents, ovvero un circuito dedicato a fotografi emergenti selezionati che si sono contraddistinti nel panorama fotografico in questo anno passato. Come? Grazie a pubblicazioni, premi, esposizioni o che solo, con il proprio contributo, sono riusciti a proporre un linguaggio fotografico innovativo.
Gli argomenti affrontati sono compresi nel racconto fotogiornalistico e la riuscita delle immagini è l’esito di una scelta stilistica che combina lo stile del reportage e dello storytelling con un’interpretazione di taglio contemporaneo.
Vediamo cosa c’è da vedere.
1. La Luce Necessaria di Lorenzo Zoppolato
A pochi metri da Prato della Valle, Irfoss Gallery ospita l’esposizione di Lorenzo Zoppolato dal titolo “La Luce Necessaria”. Il racconto ambientato in Messico è focalizzato in un cimitero e il fotografo imprime con la macchina fotografica una storia meravigliosa in cui il tempo della vita e della morte si accavallano. Antiche tradizioni e credenze religiose, alcune di origine Indios, convivono in serena armonia. Ogni anno, infatti, in occasione della festa dei morti, il “Día de los Muertos”, i messicani visitano i propri cimiteri e come in un rito ermeneutico, lasciano sulle tombe dei propri famigliari fiori, candele, cibo, bevande alcoliche e piatti speciali in onore dei predecessori. Un evento tanto importante da essere stato nominato dall’Unesco nel 2008 Patrimonio culturale dell’Umanità.
La capacità riconosciuta di Zoppolato è visibile in queste sue immagini: in una poetica sovrannaturale, utilizza in modo sapiente la luce a tratti psichedelica, identificando in modo celebrativo cultura e tradizioni del Paese Sud Americano. Tuttavia è anche un percorso in cui l’autore mette in gioco sé stesso, una relazione tra il sé e i soggetti che incontra, in un confine labile tra reale e immaginario.
2. Un flusso di coscienza imperfetto 1.0 di Luca Rossi
Nella Sala Verde, al Caffè Pedrocchi, si può visitare la serie fotografica di Luca Rossi dal titolo “Un flusso di coscienza imperfetto 1.0”. Rossi utilizza la tecnica narrativa definita “flusso di coscienza” che significa interpretare liberamente i pensieri di una persona così come compaiono nella mente prima di riorganizzarli in frasi logiche.
È un insieme di elementi e figure che riportano ad un fraseggio metaforico per cui l’autore riconosce un suo modo di esprimersi. Il progetto ha come tematica principale la Scopofobia, che è la morbosa paura di essere osservati, di attirare l’attenzione altrui, la possibilità, psicologicamente parlando, di mostrare le proprie fragilità.
Ciò è ben visibile in una curiosa fotografia della mostra: la Venere, che conosciamo tutti nel nostro immaginario in un significato paradossale – in marmo di colore bianco, quasi completamente svestita – a cui il fotografo Rossi aggiunge un elemento linguistico in tono umoristico chiamato metonimia dato da un cappotto appeso di colore scuro.
Questo progetto è per l’autore in continua evoluzione frutto della indagine costante del suo archivio.
3. Urban Shadows di Alberto Campello
Non ci spostiamo fisicamente perché in Galleria al Caffè Pedrocchi c’è anche il racconto fotografico di Alberto Campello dal titolo “Urban Shadows”.
L’indagine dell’autore è un work in progress e il suo intento è un osservare perseverante del mondo che lo circonda, con focus sul concetto di ombra analizzata nel mondo degli esseri umani. Un concetto di primaria importanza in fotografia, la prima definizione di “ombra” che ci viene data dal dizionario è ‘l’area scura proiettata su una superficie da un corpo che, interponendosi tra la superficie stessa e una sorgente luminosa, impedisce il passaggio della luce’.
Tuttavia questo principio è stato ampiamente considerato in altre materie tra cui la fenomenologia, l’estetica e la psicologia. A volte considerata in termini negativi, il suo significato simbolico definisce la tridimensionalità nello spazio.
L’ombra è la forza opposta della luce ed è quindi necessaria nel processo della conoscenza, data non solo all’aspetto fisico di assenza di luce ma soprattutto dalla percezione del visibile. Campello nelle sue immagini, infatti, utilizza l’ombra come indagine dell’ambiente urbano, elemento razionale concepito dall’individuo.
4. Vitiligo di Rosa Mariniello
Al Cortile Pensile di Palazzo Moroni è esposto il bellissimo progetto della fotografa napoletana Rosa Mariniello dal titolo “Vitiligo”.
Vitiligo è una serie fotografica di ritratti ambientati ripresi in varie parti del mondo di persone affette da vitiligine. La vitiligine è una patologia cronica non contagiosa della pelle che colpisce i melanociti, cioè le cellule che producono il pigmento da cui dipende il naturale colorito della pelle chiamata melanina. La carenza di melanina detta ipopigmentazione o la totale assenza di melanina depigmentazione che ne deriva si manifesta con la comparsa di macchie distinguibili: la pelle diventa più chiara, quasi bianca e, a parte la modificazione cromatica, è assolutamente normale. La vitiligine colpisce tra l’1 e il 2% della popolazione nel mondo e non c’è nessuna distinzione di età, sesso o etnia, con un evoluzione imprevedibile. Le cause alla base della vitiligine non sono ancora state definite, ma, nelle aree colpite, si verifica un blocco funzionale dei melanociti.
Rosa Mariniello ha incontrato e fotografato persone in cinque diversi Paesi ovvero l’India, Cina, Danimarca, Cuba e l’Italia. Producendo questa indagine l’autrice ha scoperto che India, Cina e Danimarca sono le nazioni con più incidenza di casi e che all’Avana a Cuba – all’avanguardia nella ricerca biotecnologica -, c’è un centro specializzato dove è stato scoperto e messo a disposizione un prodotto molto economico e di grande efficacia, per il trattamento della vitiligine la cui base è un estratto di placenta umana. La scelta di questa tematica è anche dovuta al fatto che alcuni membri della famiglia di Mariniello ne sono affetti.
La mostra vede una decina di ritratti in grande formato che rispettano la cromia, la geometria a volte presenti e la bellezza della persona ritratta. L’identificazione della patologia rende questi volti e queste storie, nel loro contesto, dignitose e senza pregiudizio alcuno, ma nei loro volti una fragilità dettata dalla patologia. Una presentazione scenica di grande impatto circondata dai vasi di vegetazione presenti nel palazzo, che rendono l’allestimento e la visita ancora più suggestiva.
5. Isola(to) di Elisa Modesti
Alla libreria Zabardella in visione il lavoro di Elisa Modesti dal titolo “Isola(to)” che anticipa un significato concettuale. Il reportage della fotografa è un analisi sull’identità territoriale e il funzionamento della micro società, durato due anni. Si tratta di un racconto ambientato sull’Isola Maggiore, nel Lago Trasimeno dove risiedono 15 abitanti. Un luogo lontano dagli schemi della contemporaneità e dai condizionamenti tecnologici, dove al centro c’è l’individuo. Afferma l’autrice: “il suolo diventa un condominio, i confini sono mura e gli abitanti inquilini. Individui complessi, uomini liberi e dalle ideologie radicate, singoli che nonostante la convivenza forzata non sempre costituiscono una società, un organo ben strutturato.”
L’isola è un pezzo di terra interamente circondata dall’acqua e qui siamo in mezzo ad un lago. Ciò che le immagini della Modesti affrontano è un vivere diverso, l’indipendenza rispetto al resto del mondo è distinguibile e il fatto che vi siano poche presenze rende le relazioni e i processi più vicini e trattabili. E’ l’esperienza della vita in un territorio, come una necessita in cui la solitudine ha due facce della medaglia, a volte cercata a volte rifiutata. I ritratti a volte malinconici che rimandano alla chiusura.
La scelta allestitiva non è causale. La storia di un piccolo mondo esposta in una libreria piena di storie dentro i libri. Una nuvola espositiva che rende il tutto ancora più affascinante.
6. Nenets: i nomadi della Siberia di Sara Bianchi
L’Androne del Centro Universitario Zabardella ospita il racconto fotografico di Sara Bianchi dal titolo “Nenets: i nomadi della Siberia”. L’autrice ha deciso intraprendere un viaggio in Siberia per raccontare la storia di Pavel e della sua famiglia, con i quali vive per una settimana per raccontare un antico stile di vita.
Nelle immagini sono ben visibili l’abitazione dei Nenets detta chum, dotata di stufa a legna e costituita da un architettura ben studiata, gli abiti colorati e tradizionali, il ruolo della renna animale di vitale importanza utilizzata sia come mezzo di trasporto che come fonte principale per la propria nutrizione. Certamente anche il ruolo nelle dinamiche famigliari e di lavoro di uomo e donna.
Il nome Nenets deriva dalla parola nencia nuenecyaq, che significa esseri umani, e si suppone che questo nome gli sia stato dato dagli antichi vichinghi e lapponi che, arrivati a Yamal, trovarono popolazioni aborigene di statura più piccola rispetto alla loro. Nei volti dei Nenets ripresi da Bianchi riconosciamo i lineamenti, un misto tra le popolazioni nordiche e le popolazioni mongole.
Un insieme di elementi che identificano i Nenets, popolazione indigena Russa nomade che da oltre 6.000 anni abita l’estremo Nord della Siberia dedita alla pastorizia delle renne. Una minoranza che oggi conta circa 45.000, di cui circa 27.000 nella penisola di Yamal, e circa 500.000 renne da loro gestite.
Una storia simile a tutte le altre famiglie nomadi che vivono a Yamal, piccole famiglie che parlano la lingua tradizionale accanto a quella russa, la cui contaminazione risale al periodo staliniano. Fermi immagine che hanno la sensazione di mandare un chiaro messaggio di salvaguardia di una cultura dei primordi che in questi ultimi decenni vive sulla propria pelle i pericoli e i disastri dovuti al cambiamento climatico e allo sfruttamento invasivo di preziose risorse naturali esistenti sull’isola. Infatti, nella zona della penisola di Yamal si trova un grande giacimento di gas, Bovanenkovo, dove viene estratto 1/3 di tutto il gas della Russia.
7. Isolation di Alessandro Scattolin
Rimaniamo sempre al Centro Universitario Zabardella e raggiungiamo la Sala Grande in cui è ospitata la mostra di Alessandro Scattolin dal titolo “Isolation” restando nella stessa ambientazione stesso fisica, in Siberia.
Il lavoro fotografico considera il concetto in senso stretto della parola Isola sull’isola di ol’chon in Siberia.
L’elemento imprescindibile per gli abitanti di quest’isola è il ghiaccio che, attraverso un ponte naturale, unisce per due mesi l’anno permettendo il passaggio di mezzi pesanti e mettendo in comunicazione gli abitanti al mondo esterno, immediatamente. Un elemento di unione che crea un legame tra le due realtà mutando abitudini e stili di vita.
Per i residenti dell’isola ciò che è importante è creare momenti di svago che lasciano percepire una adorazione verso il mondo esterno, come un uomo che pesca o il gioco dei ragazzini immortalati in una scena. Case calde e accoglienti, ricche del vivere quotidiano in opposizione al clima freddo e molto ostile in una vita lenta e semplice.
Una combinazione che fa vivere una vita serena e che sono nel focus di questo progetto: momenti di tutti i giorni con la sovrapposizione di situazioni che dal mondo occidentale vengono considerati surreali. Scattolin afferma: “nell’isola di Olkhon tutto è immaginazione e niente che non sia stato prima immaginato può accadere”.
8. Reznica di Marco Carmignan
“Reznica” è il progetto visuale e sociale di Marco Carmignan esposto alla libreria Pangea.
Al centro del racconto il concetto di ‘casa’, un viaggio alla scoperta di cosa significa sentirsi accolti nel proprio luogo famigliare per tutte le persone che durante la guerra della ex-Jugoslavia si sono rifugiate in Serbia. Siamo già a trent’anni dallo scoppio della guerra, eppure sembra ancora ieri quando vedevamo attoniti le atrocità perpetrate ‘ai nostri vicini di casa’. Le intenzioni di Carmignan sono quelle di proporre un nuovo racconto di quel periodo storico così doloroso che ha traumatizzato l’intero Pianeta terra agli inizi degli anni ’90 del XX secolo.
In questo momento storico così importante, il centro del problema di vivere in casa è stato di vitale importanza viste le restrizioni imposte da tutti i Paesi del mondo per evitare il più possibile il contagio tra le persone.
In Reznica è una visione affrontata, un indagine intima di differenti storie che cerca di attirare l’attenzione sul dibattito necessario di cambiare i processi di inclusione, prettamente radicati da anni di sola assistenza alla richiesta di cambiamento in una partecipazione attiva delle persone che traggono beneficio da questi redditi inclusivi.
9. Atlante Umano Siciliano di Francesco Faraci
La Libreria Pangea ospita il progetto fotografico di Francesco Faraci dal titolo “Atlante Umano Siciliano” – di cui scorso anno abbiamo parlato sul nostro magazine a proposito dell’uscita del libro edito da Emuse.
Francesco Faraci compie un viaggio anticipando il suo intento dal titolo del progetto. Percorre 20.000 chilometri a piedi e con ogni mezzo a sua disposizione sulle strade meno frequentate della Sicilia per costruire una mappatura visuale del paesaggio dell’isola. Scene riprese con il fine di mettere al centro una vita che non si muove, vittima di sé stessa, incapace a volte di abbracciare il nuovo ma pur sempre affascinante.
Un percorso che riprende una terra di frontiera, natura allo stato brado, costituita da paesi abbandonati, di strade vicoli ciechi e poi il mare, punto di partenza ma anche punto di approdo con i barconi di migranti che cercano con tutte le forze e al loro rischio di conquistare un futuro diverso da quello che il destino prospetta loro. Il Mar Mediterraneo teatro di vita e di assurdità, tra poesia e realtà. Un indagine in cui l’autore si pone domande. Immagini di tutti i giorni, mistiche a cui non ha trovato risposta se non nel camminare e vagare, con il suo corpo e la sua capacità visiva, fatta di incontri ed esperienze, tra ambientazioni e odori inconfondibili che, come Ghirri fece nel suo “Viaggio in Italia”, divengono memoria.
10. Magic Real Life di Pierluigi Ciambra
In Galleria Artemisia è esposta la serie fotografica “Magic Real Life” di Pierluigi Ciambra. In questo suo lavoro, Ciambra mette in gioco la memoria non solo come esito tautologico della fotografia in sé – lo scatto indelebile di un momento – ma soprattutto come strumento rievocativo.
Un passaggio significativo prodotto attraverso il vivere quotidiano attraverso i ricordi di infanzia, che per come è strutturata la nostra memoria, è per l’occhio umano un azione perturbante. Pensiamo che i nostri ricordi siano certi e fissati, ma negli ultimi decenni la scienza cognitiva ha di fatto rielaborato convinzioni storiche come il fatto che la nostra memoria è dinamica e quindi i ricordi sono oggettivamente sfumati e a distanza di anni, possiamo “ricamarli”.
Questa l’intenzione cercata da Ciambra che in modalità stage photography vuole raccontare come il ricordo può metterci in bilico tra perdita di orientamento e il ritrovarci in un altro mondo, quasi onirico, sul confine labile tra realtà e fantasia. Infine un ambiente trascendentale tra rappresentazione e atemporalità, con uno stile fotografico tra un tenute cromatismo dove i dettagli diventano tridimensionali in un colore vivo.
Questo è ben visibile con in posa due bambini vestiti similmente, coperti in viso da una maschera di animali finti, la tigre e la volpe, un connubio surreale per un adulto, ma non di certo per un bambino. Loro in mezzo alla natura, la foresta, come a richiamare un mondo fantastico che creato nella mente è appartenente solo al mondo fanciullesco, dove tutto è animato e tutto è possibile. Un equilibrio il suo, tra l’invenzione e la realtà, raccontato in un paese del Sud Italia, che viene fermato in ritratti di ambienti intimi, di bambini che crescono ed esplorano l’esistenza, quella che ancora non li appartiene.