Home INTERVISTE Elio Ciol: “Il segreto della fotografia? Imparare a guardare”

Elio Ciol: “Il segreto della fotografia? Imparare a guardare”

Con ben 175 mostre esposte dovunque e acquisizioni delle sue opere in prestigiosi musei ed enti culturali del mondo come quello recente dei Musei Vaticani a Roma, abbiamo raggiunto il maestro Elio Ciol per sapere di più sulla sua lunga e produttiva carriera fotografica.

Un’occasione per rivolgergli qualche domanda anche sull’ultima esposizione, Respiri di Viaggio, la mostra omaggio al maestro della fotografia esposta nello spazio espositivo ex Sala Consiliare di Casarsa della Delizia, a Pordenone. Qui, eccetto le immagini della Libia e Leptis Magna, il resto delle immagini è inedito

elio ciol
Elio Ciol

Elio Ciol. Respiri di Viaggio è una mostra densa sui suoi reportage di viaggio. Una carriera longeva e di successi. Cosa significa per lei questa mostra?

Questa è un’occasione per mostrare ai miei concittadini e ai tanti amanti della fotografia una raccolta di immagini scattate durante i viaggi all’estero realizzati nel tempo. Immagini catturate in reazione alle emozioni della bellezza o cosa nuova del soggetto che si presentava ai miei occhi e il desiderio di poterle mostrare e condividere con gli altri.

Lo storico dell’arte Fulvio Dell’Agnese è curatore di questa bellissima mostra molto ben esposta. Un fotografo ed un curatore, entrambi di livello. Come vi siete “incontrati” per la costruzione della mostra?

Ci conoscevamo da tempo per altri lavori condivisi e realizzati. Per questa mostra abbiamo considerato lo spazio disponibile e, insieme, abbiamo fatto una selezione dei viaggi da me fatti e quindi una selezione delle immagini da mostrare. Si fa sempre difficoltà a togliere delle immagini dalla scelta perché si è coinvolti da tante cose allora a volte lascio la libertà al curatore. 

Respiri di Viaggio, Elio Ciol © Foto ciol

Inizia giovanissimo a lavorare nel laboratorio di suo padre dove apprende gli strumenti del mestiere. Tuttavia per allenarci abbiamo bisogno di guardare altrove con i nostri sensi. Quali sono stati i suoi mentori e riferimenti visivi?

Sono stati i critici a comunicarmi che le mie foto ricordavano quelle di Ansel Adams, che io ancora non conoscevo e poi desiderai di incontrare. Ma quando andai per la prima volta in America lui non c’era più.

Nel campo dell’arte, invece, ho appreso molto dal professor Carlo Muttinelli, direttore del museo archeologico Nazionale di Cividale che ogni martedì sera, dal 1955 al 1965 circa, teneva a Udine una conferenza sull’arte e sui massimi autori dell’arte. Fu lui, commissionandomi molti servizi fotografici su opere d’arte, a darmi l’occasione di acquisire una conoscenza e un’esperienza molto valida nel campo della riproduzione delle opere d’arte. 

Territori vicini, ma molti luoghi remoti nel mondo. Come ci si prepara e si intraprende questi viaggi?

Per i viaggi mi sono sempre affidato alle associazioni culturali della mia zona, come ad esempio la Dante Alighieri e il Gruppo Della Accademia di San Marco di Pordenone, oltre a qualche agenzia viaggi della regione che predisponeva gli itinerari sui quali poi mi documentavo. Erano viaggi organizzati in gruppo con 40 o 50 persone per un massimo di 10, 15 giorni. Spesso anticipavo la visita rispetto al gruppo oppure aspettavo che se ne andassero per prendermi un po’ di tempo per scattare.

Ad esempio, nell’immagine della Muraglia Cinese del 1998 scattata priva di persone, ho dovuto aspettare un po’ per poterla catturare. C’era una coppia che stava passeggiando per cui ho dovuto attendere che si allontanasse. Da questa parte ancora non c’era folla, ma bastava fare un mezzo giro su sé stessi e la muraglia era occupata da numerosi visitatori.

Respiri di Viaggio, Elio Ciol © Foto ciol

Quali sono le motivazioni personali e profonde che ogni volta l’hanno portata a intraprendere un viaggio?

Ho preferito scegliere i viaggi organizzati per non preoccuparmi dei servizi di alloggio e di tutto ciò che concerne l’organizzazione. Ogni volta che affrontavo un viaggio in gruppo mi sono sempre detto “poi ci ritorno per i fatti miei”; invece, questo non è mai successo. Questo anche perché, con la mia attività in proprio da fotografo, non avevo il tempo per farlo.

In Respiri di Viaggio mi sono mosso per diletto e in ogni viaggio ho portato a casa le mie fotografie.

Le innumerevoli tappe che vediamo in mostra sono in luoghi che molti di noi, per un motivo o per un altro, non raggiungerebbero in una vita. Luoghi lontani – e immagino – non senza difficoltà come l’Uzbekistan, la Mongolia, la Libia, l’Armenia o la Russia. Con la macchina fotografica in mano è stato accolto o ha incontrato delle difficoltà?

In questa mostra dedicata ai viaggi in realtà no, non ho trovato nessun tipo di difficoltà. Questo anche perché ho sempre cercato di essere rispettoso delle persone e del Paese che visitavo. 

In altre occasioni, invece, mi è capitato. In Africa ad esempio un contadino mi ha rincorso con la falce. Io mi sono fermato, si è fermato anche lui, e alla fine non è successo niente.

Invece, in Ghana ero in spedizione con il giornalista Rubi Ronza per il settimanale Il Sabato. Lì mi ero fermato a fotografare un bambino lustrascarpe e subito qualcuno del posto si è molto arrabbiato. Ci siamo subito rifugiati in auto perché un gruppetto si è messo a battere contro il nostro veicolo. Fortuna vuole che avessimo il cartellino dell’ambasciata. Quella volta un po’ di paura c’è stata perché se ti accerchiano non sai come ne esci. 

In Palestina, invece, stavo fotografando quello che per me era una cattedrale in mezzo al deserto e invece era il posto in cui studiavano l’atomica. Ero in macchina con un’altra persona ed è arrivata un’altra automobile che si è fermata e ci ha bloccati. Mi hanno chiesto se stavo fotografando e io gli ho risposto: “Sì certamente, stavo fotografando quella cattedrale lì, non so cosa sia ma per me è una cosa strana”. Il signore ci ha chiesto di seguirci e ci ha portato in una caserma. Mi hanno chiesto di consegnare la pellicola, l’hanno sviluppata. Ci hanno fatto aspettare venti minuti e alla fine mi hanno riconsegnato la pellicola imbustata a cui erano state tagliate solo certi fotogrammi proibiti.  

Infine, quando in Iraq mi hanno fermato io li ho ingannati consegnando un’altra pellicola. Mi era stato commissionato un fotolibro sul governo iracheno su incarico della Jaca Book di Milano. Ci avevano fermati ma ho mostrato i documenti di permesso.

Respiri di Viaggio, Elio Ciol © Foto ciol

Cosa ha imparato come persona e come fotografo dai luoghi che ha attraversato?

Spero che le mie fotografie trasmettano un messaggio di bellezza e di serenità e un invito a cercare sempre cose nuove ricca di cultura e vita autentica.

Ha pubblicato moltissimi libri fotografici e si è occupato di fotografia di opere d’arte antica e non. Un modo di fotografare diventato il suo stile visibile in mostra. Come ci si approccia a questo tipo di immagine?

Banalmente guardando. 

Tuttavia, il caso del fotolibro degli affreschi di San Francesco “Il Volto e la parola” (2009) è stato un libro ben meditato. L’ho cercato io e l’ho raccolto nel tempo, approfittando anche delle impalcature. È un’idea che è nata dopo, guardando proprio le opere.

Respiri di Viaggio, Elio Ciol © Foto ciol

120 immagini sono quelle esposte nella mostra a Casarza. C’è un immagine che l’ha coinvolta in particolare?

Domanda difficile perché ogni immagine ha un significato. 

Una fra tutte – e non è un assoluto – è La Porta sul Cielo scattata nell’Isola di Santorini, in Grecia nel 1986. Rappresenta un documento stesso dell’idea: l’attesa di poter fare questo viaggio, trovare tanta luce e serenità. 

Per la copertina del catalogo, invece, ha scelto la Cattedrale di Siviglia.

Si tratta di un’immagine realizzata nel 1994.

L’arco spezzato in bianconero descrive la continuità della storia e del monumento prima arabo e poi cristiano. Un fatto molto importante è che non è stata distrutta la moschea per costruire una cattedrale, ma che la moschea è stata trasformata. Ci sono due simbologie, dunque, di cui l’altra con San Pietro (a sinistra) che documenta la cultura cristiana. 

Cattedrale di Siviglia, 1994 © Elio Ciol

Lei proviene da una generazione differente. La fotografia appena scattata non la si poteva vedere in anticipo su uno schermo, ma solo dopo un bagno in camera oscura. Fine anni ’80 vi è stata un evoluzione nel mezzo, poi sono arrivati Internet e i social. Da professionista e da studioso del linguaggio della fotografia, avendo vissuto la fotografia in due epoche tecnologicamente diverse, che opinione si è fatto di questi cambiamenti e qual è lo stato dell’arte della fotografia oggi? 

Sono cambiamenti che ho vissuto e sempre superato. Ogni volta che si presentava qualcosa di nuovo dal punto di vista tecnologico mi documentavo, imparavo e sperimentavo. Però ho sempre accettato le novità, come il digitale per esempio, che per me è molto superiore all’analogico sia nella ripresa che nella stampa.  

Prima dell’avvento della fotografia bisognava conoscere un po’ il mestiere del fotografo: dovevi documentarti e imparare. Dovevi regolare almeno tre cose: ovvero tempo, diaframma e distanza. Oggi è tutto più facile. Basta scattare e la macchina ti garantisce l’uscita dell’immagine: hai il risultato fotografico ma si perde il significato legato a ciò che si vuole trasmettere. Non c’è più una propensione ad imparare il mestiere per poter fotografare. 

Oggi si fotografa tutto e alcuni apparecchi fotografici come lo smartphone fanno miracoli rispetto alla ripresa fotografica. Oggi fotografi, spedisci e via. Cose impensabili una volta. Oggi è facile fotografare, ma bisogna lavorare su che tipo di fotografia si va fare, su quello che si vuole restituire agli altri. È questo che fa la differenza. 

Respiri di Viaggio, Elio Ciol © Foto ciol
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