Fotografica, a Bergamo la fotografia indaga sulla periferia

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La periferia, in tutte le sue poliedriche forme, è il cuore pulsante dell’edizione di Fotografica – Festival di Fotografia Bergamo.

La manifestazione, che ha luogo a Bergamo dal 2 ottobre all’1 novembre, propone 10 mostre, workshop ed iniziative in due luoghi simbolo della rigenerazione urbana bergamasca: il Monastero del Carmine e Daste (Ex Centrale Elettrica Daste e Spalenga).

fausto podavini
© Fausto Podavini

La periferia: questo il tema di Fotografica 2021

La periferia avvolge l’anima di chi è costretto ai confini delle città ma è anche linfa creativa e impulso vitale di coloro che ne vedono un’opportunità per progettare, per condividere, per migliorarsi.

Da non luogo a fucina creativa: la partita per la rinascita urbana e sociale si gioca anche ai margini delle città. Un tempo solo metafora di malessere e degrado sociale, la periferia può diventare fonte di riflessione e innovazione e nuovo punto di riferimento per la condivisione di esperienze. 

Ed è la periferia il cuore pulsante dell’edizione 2021 di Fotografica Bergamo, una terza edizione che vuole essere anche un punto di partenza per una riflessione collettiva.

In mostra fotografie di Basilico, Bulaj, Faraci, Ramazzotti, Diffidenti, Alessi, Podavini, Bispuri, Ducke, Rota in un ideale percorso esplorativo di tutti i “luoghi non luoghi”: urbani, dell’anima, sociali, intimi, creativi, diversi. 

Emile Ducke Diagnosis
© Emile Ducke, Diagnosis

Fotografica: le mostre da vedere

Abbiamo visto che sono principalmente due le sedi in cui sono esposte le mostre della terza edizione di Fotografica Bergamo. In particolare si tratta di Daste e dell’ex Monastero del Carmine.

Basilico e la mostra a Daste

A Daste, oggi sede di prestigio per lo sviluppo culturale e ricreativo, si può vedere la mostra di Gabriele Basilico.

Un’esposizione dedicata a Bergamo, dove il fotografo ha effettuato un viaggio minuziosamente documentato, che mette in relazione architetture e spazi, contraddizioni ed assonanze grazie ad uno studio capillare ed un occhio meticoloso. Ne rimangono preziose foto, risultato di una verifica ottenuta in seguito al ‘gesto fondamentale del fotografo: il guardare’, come aveva lui stesso dichiarato in un’intervista del 1998.

Bulaj, Faraci e Ramazzotti: lo sguardo sulle periferie del mondo

Al Monastero del Carmine (a Bergamo Alta), invece, ci sono 9 mostre. Si parte da “Broken songlines” di Monika Bulaj le cui fotografie immortalano le ultime oasi d’incontro tra fedi, zone franche assediate dai fanatismi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi. Luoghi dove gli dei parlano spesso la stessa lingua franca, e dove, dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze, sguardi. Un cammino che la fotografa realizza con i nomadi, minoranze in fuga, pellegrini, ricercando il bello anche nei luoghi più tremendi. 

Ancora, qui, anche Malacarne: Kids come first” di Francesco Faraci. Gli scatti, racchiusi in un libro, raccontano tre anni di attività del fotografo nelle viscere del capoluogo siciliano. I bambini vengono prima di tutto, anche in quelle realtà percepite ai margini della società, dove sono in vigore leggi non scritte che, a volte, si è costretti a conoscere e ad assimilare come vere e proprie regole dello stare al mondo. 

In “Baraccopolis”, Sergio Ramazzotti offre uno sguardo che arriva dritto come un pugno allo stomaco su un fenomeno che interessa l’esistenza di un essere umano su sei. Periferia estrema della città, della società e della dignità umana, le baraccopoli interessano da vicino anche il nostro Paese. Cantine, roulotte, automobili e baracche: non luoghi che sorgono al confine dei contesti urbani, al confine della realtà.

Dall’Afghanistan alla periferia della malattia

“L’altra faccia. Tra Verdellino, Zingonia e Ciserano“, invece, è il progetto fotografico di Giovanni Diffidenti che narra l’attività di Sguazzi Onlus, “A Beautiful Wave”. Le immagini catturano il lavoro di recupero dell’associazione su questo territorio tra il 2018 e il 2019 e portano a conoscenza del processo che ha coinvolto le Torri di Ciserano, documentando come erano appena prima e durante l’abbattimento. Sono le storie di ragazze e ragazzi che vivono, interagiscono, vogliono confrontarsi e mettersi in gioco l’uno con “l’altro”. Gli altri sono la ragazza senegalese che gioca a basket con il ragazzo pakistano o l’istruttore bosniaco che insegna parkour al giovane italiano.

E ancora, Silvia Alessi ritrae la quotidianità delle popolazioni che abitano una delle periferie del mondo poste tra i 3 e i 4 mila metri sul livello del mare. “Il Piccolo Pamir Afghano” è una raccolta di immagini che immortalano il Corridoio Wakhan, una lunga striscia di terra larga pochi chilometri nell’Afghanistan nordorientale. Il Corridoio è divenuto vicolo cieco in seguito alla chiusura di tutte le frontiere, pattugliate a vista, rendendone impossibile l’uscita.

Quello di “MiRelLa” di Fausto Podavini, invece, è un racconto lungo quattro anni, iniziato come uno studio sulla malattia, diventato presto narrazione di vita quotidiana. Mirella e Luigi sono uniti da 43 anni, dei quali gli ultimi sei hanno lottato contro la malattia degenerativa di Luigi, l’Alzheimer, che offusca i ricordi e cambia le persone inesorabilmente. La loro è una storia senza confini, racconto emotivo ed intenso di una sorta di periferia dell’anima: un non luogo che colpisce le persone indipendentemente dal sesso, dal ceto sociale, dal paese di provenienza. 

I detenuti e le periferie del mondo

I “prigionieri” di Valerio Bispuri sono i detenuti delle carceri italiane: gli invisibili che vivono in un luogo non luogo, da sempre ai margini della società. Dopo aver concluso “Encerrados”, viaggio fotografico durato dieci anni attraverso 74 carceri del Sud America, Bispuri nel 2014 decide di continuare a esplorare il mondo dei detenuti nelle carceri italiane. “Prigionieri”, “Encerrados” e “Paco” formano la trilogia della libertà perduta. Una narrazione del quotidiano che esplora le condizioni di vita quotidiana dei detenuti e capire difficoltà, bisogni, emozioni. 

Con Emile Ducke andiamo a bordo di un convoglio ospedaliero che viaggia in città remote della Siberia. “Diagnosis” è il racconto fotografico del treno di San Luca, che per due settimane, dieci volte l’anno, attraversa l’entroterra russo, per offrire l’assistenza sanitaria mancante a chi abita in quelle terre remote, lontane, fredde. Questo lavoro è stato premiato nella categoria Short Story del World Report Award|Documenting Humanity, il concorso internazionale del Festival della Fotografia Etica di Lodi.

Infine, la “Physis” che si incontra in questo progetto di Cristian Rota è quella di “terre lontane” alla periferia del mondo, vissute come “luogo salvifico” che riduce a nulla il nostro antropocentrismo di fronte ad una Natura che è potenza creatrice e distruttrice, che opera incurante dell’uomo mortale. Da vedere per comprenderne la profondità e la bellezza. 

The Mammoth's Reflex
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